martedì 12 novembre 2019

La figura dell'antagonista nella fiction e il vampiro secondo Anne Rice

Tom Cruise nel ruolo di Lestat de Lioncourt



Ammetto che avrei voluto trattare i due argomenti separatamente, ma erano davvero troppo interlacciati per poterlo fare. Ho sempre voluto esprimermi in merito agli antagonisti perché trovo che siano una parte del cast spesso trascurata, che si parli di cinema, videogiochi o letteratura. Cosa rende un antagonista tale, e soprattutto, cosa gli conferisce carisma e spessore? La mia risposta è semplice: l'immedesimazione. 

Come ben sapete, è facile portare un lettore a immedesimarsi nel protagonista virtuoso, l'eroe o l'eroina di turno, ma spesso gli autori commettono il grave errore di ridurre l'antagonista a una mera immagine speculare di tali protagonisti, dando loro il solo scopo di rappresentare tutti i lati negativi di questi ultimi. Sappiamo bene che nella realtà le cose non funzionano così e che la dicotomia tra bene e male non è affatto così ben definita. Dove voglio arrivare? I "cattivi" devono essere in grado di attirare le simpatie del lettore tanto quanto i "buoni". Come è possibile raggiungere tale obiettivo?

Vi sono diversi modi per farlo. Anzitutto, si può conferire all'antagonista un background e un passato traumatici che possono almeno in parte spiegare la sua attuale personalità. In secondo luogo, si possono concedere anche poche, sottili virtù a tale personaggio che controbilancino il suo apparente comportamento negativo. Infine, cosa più importante a mio avviso, si dovrebbe far in modo tale che il suddetto antagonista abbia una visione delle cose che, sebbene possa apparire distorta da un punto di vista comune, potrebbe invece apparire sensata se considerata da un'altra prospettiva. In poche parole, un "cattivo" non poi così cattivo, se preso in esame da un diverso punto di vista. Si tratta quindi di rendere condivisibili, quantomeno in parte, le convinzioni dell'oppositore dei protagonisti.

Ed è qui che entra in gioco Lestat, protagonista delle lunghe cronache dei vampiri di Anne Rice. A mio avviso, il celebre vampiro nato dalla penna dell'autrice statunitense è uno dei più grandi esempi di antagonista/antieroe della letteratura moderna. "Ma... hai appena detto che è un protagonista!" Lo è nei libri successivi, ma nel primo volume e nella sua trasposizione filmica, Lestat è l'antagonista, perché è Louis de Point du Lac a raccontare in prima persona la sua storia. Come mai allora Lestat è generalmente il più amato dei due, sia tra le persone che hanno visto solo il film che tra quelle che hanno seguito l'intera saga? Si può dire con certezza che in questo caso, l'antagonista abbia superato il protagonista in popolarità, spessore e carisma. Perché?


Brad Pitt nel ruolo di Louis de Point du Lac


Louis rappresenta la parte umana, colui che sebbene sia divenuto un vampiro continua a ragionare come un mortale, provando rimorso e orrore all'idea di uccidere per nutrirsi. Una posizione comprensibile, forse persino troppo realistica tanto da risultare un poco banale, se vogliamo. E Lestat? Sembra perfido e malvagio, del tutto a suo agio nel ruolo di vampiro, non esita a privare della vita chiunque desideri, eppure... anche lui si sente solo, desidera una famiglia, ed è perciò che crea Louis e lo spinge a sua volta a creare Claudia. Naturalmente Lestat è un manipolatore (dote spesso associata ai vampiri tra l'altro), un dandy, ma nonostante tutto non può che attirare le nostre simpatie. Egli si comporta in modo non molto diverso da un predatore in natura, forse con un pizzico in più di crudeltà dettata dalla sua intelligenza e dal suo passato. Il successo di Lestat però aumenta ulteriormente con i libri successivi, in quanto nel secondo volume egli narra in prima persona la sua storia, e il lettore viene a conoscenza del suo passato e di ciò che ha vissuto, giustificando in buona parte il suo comportamento. Inoltre, vi è una certa crescita ed evoluzione di Lestat nel corso dei vari libri, mentre Louis sembra essere molto più statico, rimanendo sempre attaccato alla sua umanità e divenendo così un personaggio progressivamente sempre meno interessante.

Un altro esempio di grande antagonista si può trovare nel terzo volume delle Cronache dei Vampiri della Rice: La regina dei dannati. Akasha, l'antica regina dei vampiri, è una folle che pianifica uno sterminio... vede in Lestat il suo angelo ispiratore e istigatore e lo vuole al suo fianco. Nonostante ciò, le sue motivazioni sono in un certo senso giuste e non mancano di elementi a loro favore. Certamente non le condivideremmo, ma possiamo intravedere una logica dietro le azioni della vampira, per quanto distorta. Inoltre, è un personaggio assai affascinante che ha anche il ruolo di portare il lettore indietro nel passato per esplorare le origini del vampirismo nell'universo creato dall'autrice. Tutto ciò la rende una antagonista di successo che riesce ad essere interessante e per nulla scontata, a mio avviso.

In conclusione: non trascurate mai i vostri antagonisti, perché essi sono tanto importanti quanto i protagonisti, e non devono fungere solo da spauracchi messi lì per dare una motivazione ai vostri eroi di turno, o soltanto rappresentarne una versione speculare e distorta. No. Devono essere di più, meritano di essere molto di più, il lettore deve poter simpatizzare a sufficienza con loro da rimpiangere la loro eventuale dipartita. Un esempio che mi viene in mente preso da un videogioco, Yakuza 2, è un giovane boss mafioso e villain del suddetto gioco: Ryuji Goda. Inizialmente Goda sembra essere solo un individuo sgradevole e fin troppo pieno di sé, ma nel finale, mi sono scoperto a sperare che si salvasse per potersi redimere. La scrittura era stata in grado di portare alla luce un altro lato di Goda, il suo passato e ciò che lo aveva portato a intraprendere il cammino che ci era stato mostrato, di fatto creando un grande antagonista con il quale simpatizzare e nel quale immedesimarsi.


Ryuji Goda (Yakuza Kiwami 2)


Ora, una breve parentesi sulla figura del vampiro così come lo immagina la Rice. Anzitutto, ci tengo a precisare che la figura moderna del vampiro è scaturita dai primi racconti del diciottesimo secolo, alcuni anche precedenti al Dracula di Stoker. Tuttavia, l'idea di un essere che si nutre del sangue e/o dell'energia vitale di un vivente risale fin ai Sumeri, agli albori della razza umana; trattasi di spiriti maligni e demoni d'ogni genere dalle diverse caratteristiche a seconda della cultura che si voglia prendere in esame. Detto ciò, voglio sorvolare su quella che io considero un'interpretazione sacrilega del vampiro che è quella della serie di Twilight: il resto degli autori, da due secoli a questa parte, in genere si sofferma solo sugli aspetti principali del vampiro; le sue intrinseche debolezze, i suoi poteri, e spesso un'aria nobile e una natura ammaliatrice e manipolatrice. 

Anne Rice va oltre, raccontandoci le loro abitudini, i loro vezzi nel vestire, la loro ossessione per la ricerca del "bello", dipingendoli come immortali dandy ed esteti, nonché filosofi secolari che, potendo vivere di persona intere epoche, hanno di fatto una visione d'insieme che nessuno storico potrà mai raggiungere. E a mio avviso, la Rice vi riesce alla grande, presentando dei personaggi che risultano davvero credibili e che sembrano davvero aver vissuto così a lungo. Nonostante le loro differenze in quanto a background, passato e convinzioni, tutti condividono una visione della realtà preternaturale che li contraddistingue dai mortali, nonché un generale cinismo sviluppato nel corso dei secoli o millenni.

Non mentirò: quando penso al prototipo perfetto, al vampiro ideale, non sono Dracula o Nosferatu i primi a venirmi in mente, ma Lestat de Lioncourt. Perché? Prendiamo in esame il primo. Dracula è un'opera di inestimabile valore, figlia del suo tempo e incredibilmente ben scritta, ma il Conte risulta essere una figura troppo schiva, con la quale non si riesce a entrare in piena sintonia. I vampiri della Rice invece, risultano essere una presenza costante all'interno della storia, l'autrice spende molto più tempo nell'analizzarne la psiche, i sentimenti e i poteri, nonché il passato. Diventano estremamente credibili: creature tenebrose, affascinanti e spaventose al tempo stesso. Esseri che la nostra natura umana ci spinge a temere, ma che nonostante ciò esercitano inevitabilmente il loro fascino su di noi. Vedere poi così tante qualità umane in loro (al contrario del conte Dracula), come il loro gusto nel vestire, le loro considerazioni filosofiche, le riflessioni sul cammino della razza umana e sui sentimenti che provano, non fa che rafforzare il loro legame con il lettore.

Personalmente, nonostante i vampiri siano probabilmente tra le mie creature dell'orrore preferite in assoluto, mi sono cimentato nello scrivere su di loro solo una volta. Il motivo? Credo che negli ultimi due secoli sia stato detto tutto (o quasi) ciò che c'era da dire sui vampiri, e se non l'avete ancora fatto, vi consiglio caldamente di leggere i libri di Anne Rice. Il primo e il quinto volume (Intervista col Vampiro e Memnoch il Diavolo) sono tra i miei preferiti, ma anche gli altri sono davvero ben scritti, sebbene un po' pesanti.
Non ho ancora deciso l'argomento del prossimo blog, perciò se volete scoprirlo, restate sintonizzati!


Il celebre Nosferatu

lunedì 7 ottobre 2019

H.P. Lovecraft e la filosofia dell'orrore: una breve dissertazione

Howard Philips Lovecraft

Visto che nel mio precedente blog di presentazione ho accennato a due delle divinità appartenenti al pantheon dell'autore di Providence (peraltro uno dei miei scrittori preferiti), ho pensato: perché no?

Anzitutto, occorre dire che all'epoca di Lovecraft, vi era di certo una maggiore propensione al credere a tutto ciò che suonava misterioso od occulto: oggi, nell'era di internet, si può facilmente screditare la maggior parte delle scemenze raccontate dalla gente o trovate in rete in pochi minuti con una rapida ricerca. Il che ci porta alla sua invenzione del celebre "Necronomicon", o "Al Azif", il libro dei morti.

Il successo del libro, puramente frutto della feconda mente dell'autore dell'orrore, ha portato sempre più persone a stare al gioco o a credere nella sua reale esistenza, creando perfino una sorta di interesse morboso negli appassionati della sfera dell'occulto. Tanto che il celebre tomo è stato persino protagonista di numerose altre opere di fiction ed è migrato addirittura sul grande schermo nella celebre trilogia di "Evil Dead" (da noi "La Casa") del regista Sam Raimi. Peraltro è attraverso tale film che il sottoscritto è venuto a conoscenza del suddetto libro, credendo in un primo momento che esso fosse esistito davvero. Quando saltò fuori il nome di Lovecraft però, rimasi un po' deluso (lo ammetto) nello scoprire che si trattava soltanto di una sua invenzione. Persino un piccolo team di sviluppo di nome Red Hook Studios ha creato un videogioco chiamato "Darkest Dungeon", che è palesemente ricco di riferimenti lovecraftiani, in quanto gli sviluppatori stessi devono essere dei fan dell'ormai trapassato autore. Non mancano infatti nel videogame alcune formule molto simili a quelle inventate da Lovecraft, mostri dall'aspetto inenarrabile e ogni sorta di orrori cosmici che si pareranno dinanzi ai protagonisti, mettendo a dura prova la loro sanità mentale con una vera e propria meccanica di gioco incentrata sul loro "stress".

Vi starete domandando dove voglio andare a parare... beh, questo preambolo rappresenta soltanto un lampante esempio di come si possa influenzare la massa e portarla a credere ciò che si vuole. Si tratta di una pratica che paga e di uno strumento molto potente. Non mi addentrerò in settori che ora non ci interessano e che ne fanno ampio uso (come la politica o i mass media), mi limiterò solo a dire che, nell'ambito della fiction (e in particolare dell'orrore), riuscire a costruire qualcosa di estremamente plausibile come ha fatto Lovecraft conferisce alla propria opera un sapore di realtà che può fare la differenza tra un racconto (o romanzo) dozzinale pieno di spauracchi e qualcosa di assolutamente credibile e terrificante.




Tuttavia, fino agli anni sessanta l'autore americano non godette di grande fama, anzi, fu largamente ignorato dalla critica e il suo successo giunse soltanto postumo, quando i più rivalutarono Lovecraft come uno dei più grandi capostipiti del genere horror fantascientifico della letteratura contemporanea. Ma a cosa fu dovuto tale, tardivo successo? Principalmente a due suoi contemporanei, autori del libro "Il mattino dei maghi" e alla rivista "Planète", che diede ampio spazio alla figura di Lovecraft, permettendogli di uscire dall'ombra, pur non decretando ancora il suo successo.

Uno degli elementi che lo rese grande, è da ricercare a mio avviso nella sua pura abilità stilistica:  essendo un vero lupo solitario, Lovecraft era in grado di costruire situazioni agghiaccianti che evocavano con facilità nel lettore un senso di estraniamento, solitudine e inquietudine. Lo scrittore era di certo consapevole della sua carenza nella costruzione di dialoghi, ed è per questo che se ne trovano pochissimi all'interno del suo corpus letterario. Si concentrava pertanto su elementi quali lo Stream of Consciousness del protagonista di turno, sulla descrizione della sua percezione e sull'onnipresente senso di mistero e tensione che il procedere della storia accresceva a ogni paragrafo. Almeno per me, è sempre facile immedesimarmi nei suoi protagonisti, in quanto essi sono spesso individui estremamente ordinari catapultati in situazioni straordinarie (per non dire terrificanti).

Un altro elemento importante che si può attribuire a Lovecraft era la sua scelta di "non mostrare". Oggi, sia nella letteratura che nel cinema, siamo abituati a vedere fin troppo, e per citare Stephen King nel suo libro "On Writing", spesso anche la cerniera lampo sulla schiena del mostro. Ciò che l'autore di Providence faceva invece, era alludere. Vi sono interi racconti nei quali non si riesce che a intravedere a malapena l'orrore che sta inseguendo il protagonista, o addirittura non si vede affatto. A mio avviso, questa pratica si è andata a perdere nel corso del ventunesimo secolo, decretando così il lento declino del genere horror. Se ci riflettiamo, anche nell'ambito opposto, ovvero quello dell'erotismo, il "non vedere", o meglio "l'intravedere", suscita spesso da parte dello spettatore una reazione più forte delle scene esplicite, seppur per motivi diversi.



Ciò ci porta al principio fondante dell'intera carriera di H.P.L. che si può ben riassumere citando lo scrittore stesso:

<<Il sentimento più antico e radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell'Ignoto.>>


Questa è la frase che apre il più celebre saggio di Lovecraft: "Supernatural Horror in Literature". Nella suddetta opera, l'autore scrive di come, fin dai primordi, l'umanità abbia dovuto convivere con l'ignoto e di come esso sia sempre stato parte integrante delle sue esperienze sensoriali in questa realtà. Eventi incomprensibili e inconoscibili si sono sempre succeduti (specie agli albori della storia) senza che la mente umana potesse comprenderli o risalire alle loro cause. Ecco allora spiegata la necessità di dare un senso a tali accadimenti, i quali potevano essere latori di conseguenze piacevoli o spiacevoli a seconda dei casi. L'Uomo restava però distaccato da questi avvenimenti (come il cadere di un fulmine), i quali restavano frutto di una sfera della realtà ignota e inconoscibile, generando spesso paura e angoscia. 
Personalmente, non posso che trovarmi d'accordo, osservando che anche oggigiorno, per esempio, le persone non temono la morte in sé. Esse temono il trapasso poiché non hanno la certezza di ciò che le aspetta al di là di esso... dunque, l'ignoto.
Potrei addentrarmi ulteriormente nell'analisi del saggio di Lovecraft, ma ritengo che mi dilungherei solo inutilmente, ripetendo quanto già detto dall'autore. Vi esorto quindi, qualora siate interessati, a procurarvene una copia (in alcune edizioni del Ciclo di Cthulhu potete trovarlo incluso) e ad approfondire l'argomento.

Ci tengo soltanto a concludere con un breve accenno alla vita, alle letture e allo stato psicologico generale di H.P.L., i quali hanno certamente avuto un'importantissima influenza sulla sua produzione letteraria. Due tra i numerosi autori del diciottesimo/diciannovesimo secolo e suoi contemporanei che lo hanno influenzato sono certamente Robert William Chambers (Il Re in Giallo) e Arthur Machen (Il Grande dio Pan). Sono personalmente riuscito a reperire almeno in lingua originale "Il Re in Giallo", sebbene abbia faticato molto a tradurre l'inglese arcaico dell'opera, ma una cosa è certa: da esso traspariva chiaramente una vena simile a quella lovecraftiana e vi erano innegabili analogie tra il libro che conduce alla follia inventato da Chambers e il successivo Necronomicon di Lovecraft. Anche "Il Grande dio Pan" di Machen possiede atmosfere estremamente inquietanti e una storia che allude costantemente, proprio come fa Lovecraft nei suoi racconti dell'orrore.

Per quanto riguarda la vita dell'autore americano (il cui padre morì in manicomio e la cui madre iper-protettiva e nevrotica lo costringeva a restare chiuso in casa), essa non fu certo delle più felici. In un certo senso, potremmo considerarlo una sorta di Giacomo Leopardi americano, nella cui vita abbondavano paura e pessimismo. Ciò che però mi preme sottolineare però, fu la capacità dello scrittore di sublimare gli orrori notturni e le angosce della sua vita per dare vita ad esseri inenarrabili e potenti che, tuttavia, potevano essere sconfitti. Per meglio esporre tale concetto, mi permetto di concludere citando la prefazione al Ciclo di Cthulhu a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, che scrivono delle divinità frutto della fantasia di Lovecraft:

[...]<< Non è piccola impresa evocare figure simili, misurarsi con esse e farne lo strumento per ribaltare la propria condizione esistenziale. Ciascuno di noi ospita desideri, prova attrazione per l'altro sesso, nutre ambizioni, cerca di affermarsi nel confronto con i propri simili: per tutti, si tratta di esperienze comuni del vivere. Per Lovecraft, figlio di genitori entrambi nevrotici, vissuto nelle reminiscenze di un passato di glorie famigliari ormai estinto, cresciuto timido e succube, incapace di affermarsi, timoroso delle donne, tutte queste cose erano invece figurazioni d'incubo, che venivano a tormentarlo nella solitudine. Erano divinità insensibili e spietate, che giocavano con la sua esistenza come dei ragazzi oziosi e crudeli giocano con bestiole innocenti.>>[...]


Si legge ancora, un paragrafo più in là:

[...]<< Lovecraft rifiutò le false evasioni. Non soltanto guardò dritto negli abissi dell'anima, ma affrontò i mostri del profondo, e ne contestò il dominio. Ne fece divinità grottesche e crudeli, quali in effetti sono: ma nel tempo stesso ne indicò le intrinseche debolezze, fornendo il sistema per dominarle, attraverso due mezzi potenti: la cultura e la fantasia. Le formule che permettono di dominare gli dei dell'incubo - dice Lovecraft nelle sue storie di Cthulhu - sono racchiuse in un libro, il Necronomicon, frutto dell'audacia di un uomo che osò penetrare, solo, nel loro stesso dominio. Il simbolismo è chiaro: le passioni che ci travolgono possono essere governate se ci affidiamo al coraggio intellettuale, al distacco dello studioso che le analizza come farebbe un entomologo di fronte alla mantide che divora il proprio compagno.>>[...]


Posso a questo punto solo aggiungere che non si tratta di un caso se il fittizio autore dell'altrettanto fittizio Necronomicon, l'arabo pazzo Abdul Alhazred, non è altro che il piccolo soprannome che Lovecraft si era dato per gioco durante la sua fanciullezza, rendendolo di fatto quell'audace uomo che sfidò l'ignoto e le mostruose divinità che lo governano.

Riproduzione del celebre "Necronomicon"

giovedì 5 settembre 2019

Chi sono: una breve introduzione

Per parafrasare Brad Pitt in "Intervista col Vampiro", che a sua volta cita David Copperfield, dovrei forse cominciare così... "nacqui, crebbi..."? Suppongo prenderebbe troppo tempo sia a me che a voi, e le vicende di uno sconosciuto raramente sono di interesse per chi legge. Il tempo poi, è la merce più preziosa al mondo... Comincerò invece da quando iniziai a leggere e poi a scrivere.



Sono (e oserei dire per mia fortuna) figlio di una delle ultime generazioni ancora non in possesso di infami smartphone, quando internet non era ancora così diffuso. Un figlio illegittimo degli anni '80, se volete (classe 1989), in quanto crebbi a stretto contatto con un fratello e una sorella molto più grandi di me, restandone influenzato. Si potrebbe dire che imparai a leggere circa all'età di cinque anni, esercitandomi con le targhe delle automobili. Ma iniziai il mio viaggio nel mondo della fiction solo uno o due anni dopo.



Affiancai le mie letture di libri per ragazzi (Piccoli Brividi, qualcuno sicuramente li ricorderà), a testi decisamente più impegnativi. Come tutti i ragazzini, imitare fratelli e sorelle più grandi era un comportamento naturale, e fu proprio a otto anni che ebbi il mio primo incontro con "It", di Stephen King, che lessi nel corso di due afose settimane estive. Di certo all'epoca non lo compresi a fondo, ma ricordo che ne rimasi davvero colpito (per non dire un poco traumatizzato da alcune scene di certo non adatte a un ragazzino della mia età). In seguito mi appassionai al fantasy, leggendo in particolare le saghe di Thomas Covenant l'Incredulo di Stephen R. Donaldson, Il Signore degli Anelli e le innumerevoli saghe di Shannara di Terry Brooks, nonché adorai Ivanhoe, sebbene il genere storico non mi attirava molto allora come oggi.


Fu però soltanto a dodici anni che cominciai a scrivere, trovando un manoscritto fantasy in corso d'opera nel cassetto della scrivania di mio fratello. Da lì, l'idea di scrivere qualcosa di mio. Da allora, ho scritto innumerevoli racconti e perfino romanzi, la maggior parte dei quali oggigiorno non considero all'altezza di una pubblicazione, se non forse alcuni dei miei lavori più recenti e di conseguenza maturi, sia nelle tematiche che nella prosa.



In alcuni periodi molto difficili della mia vita, scrivere mi ha aiutato ad andare avanti, specie durante un'alquanto travagliata adolescenza. Nei lunghi anni di pratica ho imparato molto sul mestiere dello scrittore, perlopiù leggendo e scrivendo, non certo seguendo corsi o leggendo ponderosi tomi sulla scrittura creativa. Certo vi è sempre qualcosa di nuovo da imparare (se così non fosse saremmo già defunti), ma ritengo, oggi, di potermi considerare almeno competente in ciò che amo fare e che considero la mia vera vocazione, a dispetto dei ruoli e mestieri che la società e le circostanze ci impongono, come maschere che non possiamo in alcun modo smettere.



Negli ultimi tempi ho stretto un sodalizio con il mio primo editore, Il Terebinto. Nonostante si tratti di una piccola casa editrice indipendente, grazie alla loro serietà e disponibilità sono riuscito a pubblicare il mio primo racconto dark fantasy, che potete trovare sia nel loro catalogo che sul circuito di ebook di amazon: L'evocazione. Purtroppo, in sede di recensione, alcuni hanno commesso l'incomprensibile errore di considerarlo un romanzo, perciò ci tengo a ripetere che si tratta solo di un racconto lungo. Con una simile durata, sarebbe stato impossibile per chiunque produrre un world building degno di tal nome e caratterizzare in modo più approfondito i personaggi.
Prossimamente è in uscita il sequel, "L'Occhio di Mobius", che conterrà il precedente racconto ampliandolo e portando così la nuova opera a diventare una novella fantasy o comunque un romanzo breve.



Sebbene il fantasy sia il mio genere prediletto, non amo e anzi rifuggo la catalogazione di "scrittore di genere", in quanto mi piace spesso occuparmi anche di fantascienza, horror e perfino di strane commistioni di generi, specie quando scrivo racconti. Per quanto riguarda i miei progetti futuri, nel caso qualcuno di voi fosse interessato a seguirmi (non si sa mai), potrete farlo su questo blog o sulla mia pagina Facebook dallo stesso nome.
Stavo considerando la possibilità di pubblicare gratuitamente alcuni dei miei racconti qui, in maniera indipendente, ma vorrei cercare di organizzarli in diverse raccolte e potrebbe essere necessaria una certa quantità di lavoro (e soprattutto tempo).
Per quanto riguarda invece i progetti futuri, sono già in possesso di molti elementi: si tratterà di una trilogia dark fantasy per adulti, ma non ho ancora cominciato la prima stesura.



Credo sia tutto, per ora... e se avete letto fin qui, sia lode a Cthulhu e Yog-Sothoth.



- Marco Garinei -