martedì 11 agosto 2020

Sulla scrittura (Cap. 2: Dove e quando)

 Capitolo II: Dove e quando


Bene, diciamo che siete nella disposizione mentale giusta, ora bisogna occuparsi di un paio di “dettagli”. Dove dovrei scrivere? A che ora? In realtà, scoprirete che anche in questo caso – come la maturazione dello stile – si tratta spesso di criteri fuori dal vostro controllo. Saranno in genere scelte dettate dalla necessità: ai nostri tempi non esistono più quei gentili signori noti come mecenati, che un tempo sfamavano gli artisti. Come tutti gli altri mortali, sarete sempre prigionieri della vostra routine quotidiana: accompagnare i figli a scuola, il lavoro, una pizza con gli amici il sabato sera, la fila alle poste… come per gli autori celebri, lascio continuare a voi la lista. 

In ogni caso, l’esperienza mi ha insegnato che di solito è meglio – una volta adottato un certo orario e posto – attenersi sempre a quello, trasformando ogni sessione in una specie di “rito”. Non che dobbiate profondervi in gesti scaramantici come i giocatori di baseball o roba simile, ma troverete – e questo ve lo assicuro – una certa, rassicurante atmosfera nel compiere una serie di semplici azioni con regolarità. Tornando a noi dunque, l’ora deve essere quella a voi più congeniale, nella quale siete sicuri che sarete sempre – o quasi – liberi da impegni di qualsiasi genere e con il minore disturbo possibile dal mondo esterno (con mondo esterno in genere intendo tutto ciò che si trova fuori dalla vostra scatola cranica). 

Nel mio caso, eccezion fatta per quando andavo ancora a scuola o quando mi capitavano i turni di lavoro di mattina, prediligo sempre le prime ore del giorno, ancor meglio se prima dell'alba. Trovo che vi sia una sorta di pace misteriosa tra le due del mattino e il sorgere del sole, che non riesco davvero a definire con chiarezza. Inoltre, trovo che le mie funzionalità siano al loro picco all’inizio della giornata, quando sento le energie mentali al massimo. In alcuni casi comunque riesco a scrivere anche in orari diversi, come sto facendo in questo momento (sono quasi le dieci di sera). Una volta scrissi un racconto breve tra le tre e le quattro e mezzo del mattino: mi ero svegliato a causa dell’influenza, peggiorata da una lieve asma e un setto nasale deviato che maledico ogni giorno. Trovavo impossibile riprender sonno ed ebbi l’idea per un racconto. 

Scrivere sempre alla stessa ora non deve diventare una fonte di angoscia né una regola ferrea, troverete soltanto che sarà più facile. Dovreste viverla non come un’imposizione ma più come un proposito. Se di tanto in tanto non ve la sentite per qualsiasi motivo, liberissimi di bigiare, ma sappiate che tirare i remi in barca troppo a lungo può avere effetti disastrosi. A meno che non vi stiate godendo una meritata pausa tra una stesura e l’altra, una volta cominciato un lavoro, non dovreste abbandonarlo per più di tre giorni. Il limite può essere di poco maggiore se si tratta di un racconto, ma i romanzi sono tutt’altra storia. Richiedono la massima dedizione. A me è successo di abbandonare diversi libri per un mese o più e sono stato molto fortunato a non perdere il contatto con la storia, tuttavia cominciavo ad avvertire la sensazione che sbiadisse, così come i personaggi. Come risultato, adesso cerco di scrivere tutti i giorni, a meno che non abbia qualche incertezza sulla scena successiva da raccontare, in quel caso mi concedo qualche giorno mentre ci medito sopra, in attesa della tanto agognata “rivelazione”. 

Riguardo al tempo necessario per la prima stesura invece, diffidate dei balordi che affermano che un libro scritto in fretta sarà di sicuro pessimo perché “un romanzo necessita di mesi, anni per essere scritto”. Niente di più falso. Non è assolutamente detto che debba essere così. King scrisse – sotto lo pseudonimo di Richard Bachman – “L’uomo in fuga” in una settimana (gran bel romanzo tra l’altro). C’è chi ha impiegato persino meno! Per quanto riguarda me, per i miei primi cinque libri veri e propri mi ci vollero circa nove mesi ciascuno (il tempo di una gestazione vera e propria, ironico vero?) per la prima stesura. Il terzo della saga a cui sto lavorando invece, “Le rovine”, della solita lunghezza (oscillo quasi sempre tra le 300 e le 400 cartelle, in questo caso più vicino alle 400), l’ho buttato giù in meno di un mese e mezzo. Per me un vero e proprio record. È stato il libro stesso a trascinarmi, in un modo del tutto ineffabile come non mi era mai successo. Non sta certo a me giudicare il lavoro finito, questo è vero, ma sono convinto che non gli manchi nulla rispetto ai romanzi precedenti, per i quali ho impiegato molto più tempo. Il quarto volume invece, l’ho terminato in quattro mesi, avendo indugiato un po’ troppo verso la fine, ma comunque ci ho messo sempre meno della metà di quanto mi ci volle per le mie prime opere. 

Chiusa la parentesi sulla durata, torniamo al nostro dilemma: abbiamo concluso che il quando è soggettivo, che può variare e che dipende spesso dal vostro tipo di vita e dagli impegni. La pausa pranzo? La sera prima di cena? Fate voi, l’importante è cercare di attenervisi, quando possibile. Ora parliamo del dove. Non avete bisogno di un ufficio chic col vostro nome in lettere d’oro stampate sulla porta, né di portapenne pacchiani o un frigobar; per quanto mi riguarda potreste scrivere anche in una spelonca, se ci fosse la corrente per il vostro portatile o luce sufficiente per il blocchetto. Il luogo, come il tempo, deve sempre essere funzionale a voi soltanto. Si tratta di pura e semplice comodità, con un’eccezione: le distrazioni. 

Specie agli inizi, dovreste cercare di ridurle al minimo, perfino una finestra può essere fonte di disturbo: potreste ritrovarvi ad affacciarvi notando che incomincia a piovere, o vedendo una bella sconosciuta che attraversa la strada… No. Col tempo imparerete a filtrare questi disturbi, ma all’inizio dovrete essere in un compartimento stagno. Anche su questo concordo con King: niente internet, niente telefono, tv, niente di niente. Per me, mollare i videogiochi non è stato facile, ma dopo un po’ sono arrivato ad avere tutta la mia serie di distrazioni a portata di mano e a non degnarle di uno sguardo finché non avevo finito la mia sessione giornaliera. O almeno, quando sotterro la mia pigrizia e decido di voler scrivere sul serio. Per distaccarmene ancora di più, di tanto in tanto ho cominciato a fare lunghe passeggiate (di solito col bel tempo), riflettendo un po’ su tutto e su niente, cosa che qualche volta conduce a illuminazioni ma il più delle volte è fine a se stessa. Ma va bene così. 

Per concludere, che si tratti del bagno, del salotto o la camera da letto (io ho sempre preferito la mia stanza), quel che conta sono la vostra determinazione nell’atto dello scrivere e nel negarvi le distrazioni. Anche perché diciamocelo, quando cominciate a raccontare, il vostro vero io è da un’altra parte, nella stanza di voi rimane solo il corpo. Si tratta di qualcosa di simile a ciò che accade quando leggete, ma moltiplicato per un numero di volte variabile che dipende dalla potenza della vostra immaginazione e del vostro legame col mondo che state creando. 

Vi renderete conto di essere in grado di estraniarvi più di quanto credevate possibile, al punto che se avevate messo su della musica per isolarvi, scoprirete magari di non avere memoria di aver ascoltato le ultime dieci o quindici tracce! Ogni volta, sarà come riemergere da un sogno lucido: trasportate con le vostre sole forze la coscienza da un’altra parte, in un luogo che – fisicamente – non esiste. Dunque, adesso avete il quando e avete il dove… siamo arrivati al terzo elemento fondamentale per cominciare: di cosa parlare. Nel prossimo capitolo affronteremo il contenuto.