sabato 5 giugno 2021

Turpiloquio: contro il buonismo becero e il politicamente corretto

 Prendendo spunto da una discussione nata sul forum per scrittura che frequento, Inchiostro diVerso, oggi vi propongo il mio intervento in merito in quel thread, anche perché si tratta di un tema che mi sta molto a cuore: la libertà di espressione e il linguaggio.


Io la penso esattamente come Stephen King in merito: il turpiloquio ha un suo uso come qualsiasi altra forma espressiva, purché appunto abbia un suo scopo, che sia chiaramente manifesto o tra le righe. Conferisce colore e personalità a un testo, a prescindere dal suo genere e dalla sua natura.

Per quanto mi riguarda, il turpiloquio è necessario per conferire realismo e per caratterizzare i personaggi. Quale autore sano di mente farebbe dire a un mafioso "cavolo" o "poffarbacco!"? Solo uno disonesto o un imbecille.
King stesso è un grande esempio in quanto è stato spesso bersaglio della critica proprio per le libertà che si è sempre preso. Ci sono esempi razzisti ("Non ci prendono bene i musi neri da queste parti"), o semplicemente volgari perché il personaggio era volgare ed era giusto così ("Scendiamo da questa cazzo di Dodge").

In ultimo, ricordo che persino la mia professoressa di spagnolo madrelingua al liceo sosteneva che il metodo più facile e rapido per cominciare a familiarizzare con una lingua sia di imparare le "parolacce". Infatti ce ne insegnò diverse in spagnolo proprio al primo anno! Ne imparai anche qualcuna dal nostro professore di latino, come "Filius mater ignota" e il classico senza tempo "Caput mentole". 

In conclusione, anche nel parlato di tutti i giorni le uso spesso per rafforzare concetti e non mi faccio alcun problema a scriverne, sempre con cognizione di causa. Tra l'altro si possono esprimere gli stessi concetti anche senza suonare volgari ("Lei è un pezzo di materia fecale dotato di locomozione", questa è mia), ma non sempre suonare aulici nelle offese è ciò che fa al caso nostro in un testo di narrativa.
Senza nulla togliere a coloro cui non piace usare il turpiloquio, vorrei fare un parallelo con uno sviluppatore di giochi hentai (erotici) che conosco: una volta su discord parlando della tematica del sesso come tabù nella società odierna, asserì che esso può essere uno strumento narrativo importante tanto quanto gli altri e dovrebbe avere pari dignità. Nello specifico disse che, nel suo ambito (quello videoludico, dove il sesso è tabù molto più che nei film eccetto nei giochi per adulti), c'è una bella differenza tra l'avere la possibilità di inserire il sesso se si vuole e il non averne la possibilità perché si verrebbe censurati. Affermava che si perde l'occasione di aggiungere un altro strato alla narrazione.

Tutto questo per dire che sono perfettamente d'accordo e che lo stesso, identico discorso si può fare per il turpiloquio. La società è troppo moralista e bigotta per i miei gusti, lo è sempre stata da quando sono entrato nell'adolescenza, ma con gli anni l'esperienza non ha fatto altro che rendermi sempre più intollerante verso tutti questi atteggiamenti buonisti o di politicamente corretto. La stessa parola "negro", censurata e demonizzata ovunque, si ritrova in spagnolo, "nigro" che significa letteralmente "nero", così come "nigrum" in latino. L'accezione razzista è arrivata solo in tempi relativamente recenti, in particolare nell'America degli anni '60. King stesso affronta questa tematica nella sua saga "La Torre Nera", dove uno dei personaggi principali, Susannah/Detta/Odetta è una nera degli anni '60, durante i quali gli afroamericani esecravano espressioni come "nero" o "di colore" e si sentivano orgogliosi nel chiamarsi "negri" loro stessi. Ciò che si dovrebbe demonizzare, a parer mio, non è la parola in sé, ma l'uso che se ne fa. Esattamente come non è un'arma a uccidere, ma chi la impugna. Mi batterò sempre per questo.

Avrei da spendere due paroline anche su quelle indefesse femministe italiane che ultimamente sono riuscite a vincere la loro crociata e a far rimuovere dalla Treccani alcune espressioni associate alla donna che secondo loro sono "misogine", come "cagna". Ecco, qui vale il medesimo discorso. Io stesso ho usato un paio di volte questo termine in un mio romanzo, e con cognizione di causa (in un caso è una donna che rivolge l'epiteto a un'altra donna, nel secondo è un uomo), ma ciò non significa che io sia misogino. Semplicemente, la situazione lo richiedeva per essere realistica ed esprimere l'odio che i personaggi in questione provavano gli uni per gli altri. Si può dire che anche il dialogo scurrile possa far parte in un certo senso dello "show don't tell", mostrando al lettore delle emozioni senza dovergliele spiegare. 

Inoltre, Robert E. Howard usava a iosa l'epiteto "cane" nei suoi racconti di Conan il Barbaro circa un secolo fa... a questo punto è lecito domandarsi: perché le femministe si battono per la parità di diritti e di trattamento, ma poi vogliono anche un trattamento di riguardo? Allora rimuoviamo anche la declinazione al maschile come offesa. Scusate eh, ma io disprezzo in egual misura sia i maschilisti che le femministe, entrambi parte di un unico sottoinsieme: quello degli imbecilli. Non vedo perché la mia lingua (o qualsiasi altra se per questo) dovrebbe venire sistematicamente stuprata (posso usare questo termine in senso figurato? Grazie!) a causa di una minoranza di persone che vogliono imporre le loro idee al prossimo.
In sostanza, questo politicamente corretto a tutti i costi secondo me rischia un giorno di pregiudicare perfino la ricchezza del nostro lessico e la libertà di espressione. Chissà, magari un domani persino la satira sarà illegale... c'è molto su cui riflettere, a parer mio.