lunedì 7 ottobre 2019

H.P. Lovecraft e la filosofia dell'orrore: una breve dissertazione

Howard Philips Lovecraft

Visto che nel mio precedente blog di presentazione ho accennato a due delle divinità appartenenti al pantheon dell'autore di Providence (peraltro uno dei miei scrittori preferiti), ho pensato: perché no?

Anzitutto, occorre dire che all'epoca di Lovecraft, vi era di certo una maggiore propensione al credere a tutto ciò che suonava misterioso od occulto: oggi, nell'era di internet, si può facilmente screditare la maggior parte delle scemenze raccontate dalla gente o trovate in rete in pochi minuti con una rapida ricerca. Il che ci porta alla sua invenzione del celebre "Necronomicon", o "Al Azif", il libro dei morti.

Il successo del libro, puramente frutto della feconda mente dell'autore dell'orrore, ha portato sempre più persone a stare al gioco o a credere nella sua reale esistenza, creando perfino una sorta di interesse morboso negli appassionati della sfera dell'occulto. Tanto che il celebre tomo è stato persino protagonista di numerose altre opere di fiction ed è migrato addirittura sul grande schermo nella celebre trilogia di "Evil Dead" (da noi "La Casa") del regista Sam Raimi. Peraltro è attraverso tale film che il sottoscritto è venuto a conoscenza del suddetto libro, credendo in un primo momento che esso fosse esistito davvero. Quando saltò fuori il nome di Lovecraft però, rimasi un po' deluso (lo ammetto) nello scoprire che si trattava soltanto di una sua invenzione. Persino un piccolo team di sviluppo di nome Red Hook Studios ha creato un videogioco chiamato "Darkest Dungeon", che è palesemente ricco di riferimenti lovecraftiani, in quanto gli sviluppatori stessi devono essere dei fan dell'ormai trapassato autore. Non mancano infatti nel videogame alcune formule molto simili a quelle inventate da Lovecraft, mostri dall'aspetto inenarrabile e ogni sorta di orrori cosmici che si pareranno dinanzi ai protagonisti, mettendo a dura prova la loro sanità mentale con una vera e propria meccanica di gioco incentrata sul loro "stress".

Vi starete domandando dove voglio andare a parare... beh, questo preambolo rappresenta soltanto un lampante esempio di come si possa influenzare la massa e portarla a credere ciò che si vuole. Si tratta di una pratica che paga e di uno strumento molto potente. Non mi addentrerò in settori che ora non ci interessano e che ne fanno ampio uso (come la politica o i mass media), mi limiterò solo a dire che, nell'ambito della fiction (e in particolare dell'orrore), riuscire a costruire qualcosa di estremamente plausibile come ha fatto Lovecraft conferisce alla propria opera un sapore di realtà che può fare la differenza tra un racconto (o romanzo) dozzinale pieno di spauracchi e qualcosa di assolutamente credibile e terrificante.




Tuttavia, fino agli anni sessanta l'autore americano non godette di grande fama, anzi, fu largamente ignorato dalla critica e il suo successo giunse soltanto postumo, quando i più rivalutarono Lovecraft come uno dei più grandi capostipiti del genere horror fantascientifico della letteratura contemporanea. Ma a cosa fu dovuto tale, tardivo successo? Principalmente a due suoi contemporanei, autori del libro "Il mattino dei maghi" e alla rivista "Planète", che diede ampio spazio alla figura di Lovecraft, permettendogli di uscire dall'ombra, pur non decretando ancora il suo successo.

Uno degli elementi che lo rese grande, è da ricercare a mio avviso nella sua pura abilità stilistica:  essendo un vero lupo solitario, Lovecraft era in grado di costruire situazioni agghiaccianti che evocavano con facilità nel lettore un senso di estraniamento, solitudine e inquietudine. Lo scrittore era di certo consapevole della sua carenza nella costruzione di dialoghi, ed è per questo che se ne trovano pochissimi all'interno del suo corpus letterario. Si concentrava pertanto su elementi quali lo Stream of Consciousness del protagonista di turno, sulla descrizione della sua percezione e sull'onnipresente senso di mistero e tensione che il procedere della storia accresceva a ogni paragrafo. Almeno per me, è sempre facile immedesimarmi nei suoi protagonisti, in quanto essi sono spesso individui estremamente ordinari catapultati in situazioni straordinarie (per non dire terrificanti).

Un altro elemento importante che si può attribuire a Lovecraft era la sua scelta di "non mostrare". Oggi, sia nella letteratura che nel cinema, siamo abituati a vedere fin troppo, e per citare Stephen King nel suo libro "On Writing", spesso anche la cerniera lampo sulla schiena del mostro. Ciò che l'autore di Providence faceva invece, era alludere. Vi sono interi racconti nei quali non si riesce che a intravedere a malapena l'orrore che sta inseguendo il protagonista, o addirittura non si vede affatto. A mio avviso, questa pratica si è andata a perdere nel corso del ventunesimo secolo, decretando così il lento declino del genere horror. Se ci riflettiamo, anche nell'ambito opposto, ovvero quello dell'erotismo, il "non vedere", o meglio "l'intravedere", suscita spesso da parte dello spettatore una reazione più forte delle scene esplicite, seppur per motivi diversi.



Ciò ci porta al principio fondante dell'intera carriera di H.P.L. che si può ben riassumere citando lo scrittore stesso:

<<Il sentimento più antico e radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell'Ignoto.>>


Questa è la frase che apre il più celebre saggio di Lovecraft: "Supernatural Horror in Literature". Nella suddetta opera, l'autore scrive di come, fin dai primordi, l'umanità abbia dovuto convivere con l'ignoto e di come esso sia sempre stato parte integrante delle sue esperienze sensoriali in questa realtà. Eventi incomprensibili e inconoscibili si sono sempre succeduti (specie agli albori della storia) senza che la mente umana potesse comprenderli o risalire alle loro cause. Ecco allora spiegata la necessità di dare un senso a tali accadimenti, i quali potevano essere latori di conseguenze piacevoli o spiacevoli a seconda dei casi. L'Uomo restava però distaccato da questi avvenimenti (come il cadere di un fulmine), i quali restavano frutto di una sfera della realtà ignota e inconoscibile, generando spesso paura e angoscia. 
Personalmente, non posso che trovarmi d'accordo, osservando che anche oggigiorno, per esempio, le persone non temono la morte in sé. Esse temono il trapasso poiché non hanno la certezza di ciò che le aspetta al di là di esso... dunque, l'ignoto.
Potrei addentrarmi ulteriormente nell'analisi del saggio di Lovecraft, ma ritengo che mi dilungherei solo inutilmente, ripetendo quanto già detto dall'autore. Vi esorto quindi, qualora siate interessati, a procurarvene una copia (in alcune edizioni del Ciclo di Cthulhu potete trovarlo incluso) e ad approfondire l'argomento.

Ci tengo soltanto a concludere con un breve accenno alla vita, alle letture e allo stato psicologico generale di H.P.L., i quali hanno certamente avuto un'importantissima influenza sulla sua produzione letteraria. Due tra i numerosi autori del diciottesimo/diciannovesimo secolo e suoi contemporanei che lo hanno influenzato sono certamente Robert William Chambers (Il Re in Giallo) e Arthur Machen (Il Grande dio Pan). Sono personalmente riuscito a reperire almeno in lingua originale "Il Re in Giallo", sebbene abbia faticato molto a tradurre l'inglese arcaico dell'opera, ma una cosa è certa: da esso traspariva chiaramente una vena simile a quella lovecraftiana e vi erano innegabili analogie tra il libro che conduce alla follia inventato da Chambers e il successivo Necronomicon di Lovecraft. Anche "Il Grande dio Pan" di Machen possiede atmosfere estremamente inquietanti e una storia che allude costantemente, proprio come fa Lovecraft nei suoi racconti dell'orrore.

Per quanto riguarda la vita dell'autore americano (il cui padre morì in manicomio e la cui madre iper-protettiva e nevrotica lo costringeva a restare chiuso in casa), essa non fu certo delle più felici. In un certo senso, potremmo considerarlo una sorta di Giacomo Leopardi americano, nella cui vita abbondavano paura e pessimismo. Ciò che però mi preme sottolineare però, fu la capacità dello scrittore di sublimare gli orrori notturni e le angosce della sua vita per dare vita ad esseri inenarrabili e potenti che, tuttavia, potevano essere sconfitti. Per meglio esporre tale concetto, mi permetto di concludere citando la prefazione al Ciclo di Cthulhu a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, che scrivono delle divinità frutto della fantasia di Lovecraft:

[...]<< Non è piccola impresa evocare figure simili, misurarsi con esse e farne lo strumento per ribaltare la propria condizione esistenziale. Ciascuno di noi ospita desideri, prova attrazione per l'altro sesso, nutre ambizioni, cerca di affermarsi nel confronto con i propri simili: per tutti, si tratta di esperienze comuni del vivere. Per Lovecraft, figlio di genitori entrambi nevrotici, vissuto nelle reminiscenze di un passato di glorie famigliari ormai estinto, cresciuto timido e succube, incapace di affermarsi, timoroso delle donne, tutte queste cose erano invece figurazioni d'incubo, che venivano a tormentarlo nella solitudine. Erano divinità insensibili e spietate, che giocavano con la sua esistenza come dei ragazzi oziosi e crudeli giocano con bestiole innocenti.>>[...]


Si legge ancora, un paragrafo più in là:

[...]<< Lovecraft rifiutò le false evasioni. Non soltanto guardò dritto negli abissi dell'anima, ma affrontò i mostri del profondo, e ne contestò il dominio. Ne fece divinità grottesche e crudeli, quali in effetti sono: ma nel tempo stesso ne indicò le intrinseche debolezze, fornendo il sistema per dominarle, attraverso due mezzi potenti: la cultura e la fantasia. Le formule che permettono di dominare gli dei dell'incubo - dice Lovecraft nelle sue storie di Cthulhu - sono racchiuse in un libro, il Necronomicon, frutto dell'audacia di un uomo che osò penetrare, solo, nel loro stesso dominio. Il simbolismo è chiaro: le passioni che ci travolgono possono essere governate se ci affidiamo al coraggio intellettuale, al distacco dello studioso che le analizza come farebbe un entomologo di fronte alla mantide che divora il proprio compagno.>>[...]


Posso a questo punto solo aggiungere che non si tratta di un caso se il fittizio autore dell'altrettanto fittizio Necronomicon, l'arabo pazzo Abdul Alhazred, non è altro che il piccolo soprannome che Lovecraft si era dato per gioco durante la sua fanciullezza, rendendolo di fatto quell'audace uomo che sfidò l'ignoto e le mostruose divinità che lo governano.

Riproduzione del celebre "Necronomicon"