domenica 14 settembre 2025

Lieto fine, manicheismo e sindrome del salvatore: narrazione popolare o manipolazione?

                


 

L'argomento che mi accingo ad affrontare in questa monografia è piuttosto complesso e stratificato. Si tratta di una questione che sento la necessità di sollevare prima di tutto come essere umano e, in seconda battuta, in veste di scrittore. Umberto Eco e tanti altri autori ben più illustri del sottoscritto avranno senz'altro già affrontato in passato l'argomento, rimarcando le differenze tra la cosiddetta “narrazione popolare” e quella “impegnata”. Tuttavia, il mio scopo non è di ripetere in questa sede quanto già detto più che egregiamente da intellettuali e letterati di livello, quanto piuttosto quello di percorrere una via forse meno battuta e più oscura. Ritengo infatti che, alla base della diffusione della narrazione popolare – promossa anche dalle istituzioni –, possa esservi un sottilissimo intento manipolatorio delle coscienze, che è correlato a un processo di indottrinamento occulto. Ma andiamo con ordine.

Per riassumere nel modo più rapido e conciso possibile, una storia di tipo “popolare” è costituita da una struttura semplice, con protagonisti e antagonisti contrapposti molto chiaramente e una visione manichea della realtà: la dicotomia tra Bene e Male è netta e non lascia alcuno spazio all'interpretazione e alla complessità umana; non ammette il relativismo morale in alcuna forma. Si tratta di un tipo di approccio all'esistenza che si può definire con la nota espressione popolare: «Vedere il mondo in bianco e nero». Un altro aspetto che si può riscontrare in questo tipo di narrazione è la presenza di un lieto fine. Prendiamo come esempi Harry Potter e Star Wars (mi riferisco solo alle opere originali e non ai derivati), nei quali Voldemort è il Male e Harry il Bene, così come lo sono i Sith e i Jedi; in entrambe le storie, inoltre, la vicenda si risolve sempre nel migliore dei modi. I finali di questo tipo sono caratteristici anche delle sdolcinate versioni disneyane delle antiche fiabe (anche qui mi riferisco ai classici e non alle derive odierne), e in generale di qualsiasi storia rivolta perlopiù ai giovani e ai giovanissimi. In narrativa, pensiamo per esempio a Percy Jackson di Rick Riordan, o a tante altre storie per ragazzi, mentre nelle opere di animazione gli esempi sono pressoché sterminati.

Il terzo elemento merita forse un discorso a parte, in quanto più che di una scelta autoriale sarebbe opportuno parlare di un vero e proprio archetipo: quello del salvatore, che risale a tempi antichissimi che precedono persino il libro più famoso del mondo, la Bibbia. Esistono infatti delle figure cristiche anche in mitologie antecedenti al cristianesimo: pensiamo a divinità e semidèi che compievano miracoli o altre grandi imprese, spesso aventi connotazioni salvifiche per gruppi più o meno nutriti di individui. La motivazione dietro alla definizione di “sindrome del salvatore” sarà più chiara una volta giunti al nocciolo della questione.

Ora, oltre a questi tre macro elementi narrativi, la cosiddetta narrazione popolare può contenerne anche degli altri che, però, non sono importanti ai fini della presente monografia e quindi non esplorerò nel dettaglio: il cammino dell'eroe, il difetto fatale (es. l'addestramento Jedi di Luke e la mancanza di fiducia in sé stesso) e altri ancora. Questi sono però elementi contingenti e di carattere perlopiù secondario.

Per avvicinarsi al punto focale dell'argomento, occorre domandarsi: in che modo sono correlati il lieto fine, il manicheismo e la sindrome del salvatore? Per rispondere a tale quesito, occorre per forza di cose addentrarsi in una digressione di stampo più psicologico e sociale che letterario, ma cercherò di essere il più chiaro e preciso possibile e di non allontanarmi troppo dal seminato.

Non mi è possibile approfondire più di tanto l'aspetto psicologico per due motivi: è un argomento estremamente vasto e complesso, inoltre le mie magre conoscenze non sarebbero adeguate. I meccanismi della psiche umana sono da secoli oggetto di studio e in questa sede mi limiterò all'ovvia osservazione alla base del mio assunto: l'essere umano è una creatura facilmente influenzabile. Tale caratteristica è ancora più marcata in coloro che sono privi di spirito critico. La cosiddetta “istruzione” contribuisce a non formare il pensiero autonomo, ma a sopprimerlo fin dalla più tenera età; si cerca quindi di produrre cittadini obbedienti e non degli individui colti, critici e perciò non manipolabili. La scuola non istruisce né insegna a usare il cervello, si limita a imbottire l'individuo di nozioni – talvolta anche erronee quando non volutamente false –, nonché ad addestrarlo all'obbedienza cieca e incondizionata nei confronti della figura autoritaria di turno.

Qui giungiamo al fulcro dell'argomento: la narrativa popolare piace alla massa solo per una questione di gusti e perché i più amano crogiolarsi in fantasie irrealistiche (il cosiddetto “escapismo”)? Oppure anche perché la società e le istituzioni premono in quella direzione, e le storie di quel tipo sono di conseguenza le uniche che ci vengono propinate fin dall'infanzia, quando siamo più influenzabili che mai? La stessa idea di “amore romantico” ci viene instillata fin dalla più tenera età, spesso tramandata anche da genitori inconsapevoli di essere stati a loro volta manipolati. Non posso approfondire l'argomento perché andrei fuori tema, tuttavia è singolare osservare come anche in quel caso si possa applicare il medesimo ragionamento.

Ma torniamo ai tre concetti originari. L'idea di un lieto fine, quella dell'esistenza di “buoni e cattivi” – come quando da piccoli ci fanno scrivere sulla lavagna chi si comporta bene e chi no –, e quella di un salvatore che risolverà tutti i nostri problemi sono strettamente interconnesse. A parere di chi scrive, non si tratta soltanto di innocue scelte letterarie e artistiche, ma di un deliberato tentativo di dipingere una falsa realtà perché la massa la introietti e perpetui tale visione, contribuendo a inculcarla alla prole anche ove i tentacoli delle istituzioni non riescono a giungere.

Qui occorre effettuare un'altra, breve digressione di stampo sociale e politico. Quando una società insegna all'individuo a vedere fin da piccolo la realtà attraverso le tre lenti prese in esame, esso sarà molto più suscettibile alle narrazioni delle istituzioni e alle sue menzogne. Il “no–vax” è un terrorista, non segue le regole e dubita, e ciò lo rende il “nemico”, mentre nei conflitti bellici esistono soltanto “un aggressore e un aggredito” (manicheismo). Durante la pseudo pandemia ha preso piede lo slogan: «Andrà tutto bene», quando invece tutto stava andando alla malora e nulla è poi andato bene, perché siamo nella realtà e non in una storia di stampo popolare (con un lieto fine assicuratoci dall'autore). In questo contesto, si potrebbe accostare la siringa di vaccino a una figura cristica, con la funzione salvifica che protegge dal fantomatico virus assassino, ma in generale tutte le narrazioni s'innestano sulla medesima impalcatura di base: di solito, le istituzioni rivestono il ruolo del salvatore e, quando perdono credibilità presso le masse, lasciano che si propaghino altre narrazioni di presunta “controinformazione” che inventano nuove (e altrettanto mendaci) figure salvifiche: il Movimento 5 Stelle, Putin e i BRICS, Trump, Kennedy Jr. e così via.

L'unica reale ragione dietro tutto ciò è il controllo. Ecco quindi che la narrazione di stampo popolare si rivela estremamente utile a chi detiene il potere, consentendo di mantenere le masse bloccate nel proprio recinto perché confortate da una visione manichea e divisiva (se io sono tra i “buoni” gli altri devono per forza essere “cattivi”), dalla prospettiva di un lieto fine (perché nelle storie il Bene alla fine trionfa sempre) e dalla convinzione che Dio, Gesù o un loro emissario qualunque si occuperanno di toglierci le castagne dal fuoco, deresponsabilizzandoci. Ecco quindi ben servita una società composta in maggioranza da bambinoni mai cresciuti, che ragionano come se la vita fosse un cartone animato.

È forse un caso che tutti i più grandi artisti e letterati di ogni epoca abbiano rifuggito le narrazioni semplicistiche di stampo popolare, preferendo a esse le cosiddette “opere impegnate”? Queste ultime presentano il mondo in una tonalità di grigio e la natura umana in tutta la sua sfaccettata complessità. Per esempio, ne Il conte di Montecristo, al principio Dumas ci presenta Edmond Dantès come un uomo qualsiasi, che vuole solo avere una vita felice all'interno della società del suo tempo.

In seguito, il marinaio si trasforma in un oscuro vendicatore e compie molte azioni terribili, tutte al solo scopo di ottenere una rivalsa su coloro che hanno distrutto la sua vita. Non è dipinto quindi in modo interamente positivo o negativo, anche perché è una figura complessa e tormentata che talvolta è preda di rimorsi e dilemmi. Per esempio quando deve scegliere se morire in duello per mano del figlio di Mercedes (e rinunciare quindi a portare a compimento la sua vendetta), oppure essere lui a uccidere l'innocente giovane.

Persino gli antagonisti dell'opera di Dumas, per quanto biechi e sgradevoli, non sono mai dei “cattivi da fumetto”, ma soltanto persone con un codice etico diverso (noi diremmo corrotto), che scelgono scientemente di condannare Dantés o di ostacolarlo per salvaguardare sé stessi e i propri interessi. Una cosa perfettamente umana, credibile e, per certi versi, se vogliamo anche comprensibile. Si tratta di dinamiche che sono ben note a chiunque abbia studiato un minimo di storia e/o di psicologia e sociologia, o che si sia limitato a osservare abbastanza a lungo – con molta attenzione e altrettanta onestà –, i comportamenti delle persone che lo circondano. Tale approccio, in tre parole, rispecchia la realtà.

Non credo sia un caso neppure che, in ogni epoca, i più feroci (e più perseguitati) oppositori del potere costituito siano sempre stati intellettuali e artisti, coloro che di solito sviluppano uno spirito critico, si dedicano all'introspezione ed espandono la consapevolezza di sé, oltre ad avere anche strumenti culturali adeguati. Sono sempre state loro le avanguardie che si opponevano alle istituzioni per motivi etici e/o politici (l'esempio più famoso è l'esilio di Dante da Firenze). Certo, all'interno della categoria sono sempre esistiti anche i venduti, che sono un insulto al concetto stesso di artista, ma si tratta di una distinzione che non ha a che fare con l'argomento qui trattato, perciò ci porterebbe troppo lontano.

Contrariamente a quanto credono in molti, quindi, le rivoluzioni non sono mai nate spontaneamente dal basso, ma sono sempre state istigate e guidate da piccoli gruppi avanguardisti, i quali hanno saputo metterle in moto e indirizzarle; in alcuni casi persino manipolando le persone. A tal proposito, cito il padre della propaganda moderna e nipote di Freud, Edward Bernays, che combinò le idee dello zio, di Wilfred Trotter e Gustave Le Bon per sistematizzare la psicologia del subconscio allo scopo di influenzare le masse.

Se capisci i meccanismi e le logiche che regolano il comportamento di un gruppo, puoi controllare e irregimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa.

Nonostante esista da sempre un profondo e innegabile divario tra la massa e gli intellettuali e gli artisti, è un fatto incontestabile che anche i più avidi lettori di storie popolari – se opportunamente sospinti nella direzione giusta –, siano in grado col tempo di apprezzare la narrazione impegnata e di riconoscere il suo maggior valore. Quanto più l'individuo impara a conoscere la differenza e si accultura, tanto più si allontana dalla narrazione popolare, trovandola sempre più infantile e non adatta ai propri gusti. Ciò ci conduce alle osservazioni conclusive della presente monografia.

La tesi alla quale sono approdato è dunque la seguente: la vasta diffusione di storie popolari non è dovuta soltanto ai gusti massificati, al mero desiderio di escapismo e all'ignoranza, ma anche e soprattutto a una sapiente manipolazione operata sin dall'infanzia allo scopo di controllare le coscienze e plagiarle. Il potere costituito ha tutto l'interesse nel plasmare le menti perché amino storie semplici e si riconoscano in esse, nonostante tali narrazioni siano ben lontane dalla complessità della realtà. Il risultato ottenuto è che, molto spesso, le menti più indottrinate tendono a provare persino un'innata idiosincrasia per le storie impegnate e realistiche, preferendo lo schema ormai a loro familiare di quelle popolari, per quanto risulti trito e ritrito. Naturalmente, le due categorie non sono monolitiche e anche nelle storie popolari possono far capolino alcuni elementi realistici minori che le “contaminano”, ma non sono mai sufficienti a cambiarne la natura intrinseca.

La maggior parte delle persone sono quindi vittime inconsapevoli di questa sottile quanto diabolica macchinazione, che ha il solo scopo di renderle ricettive alle narrazioni propagandistiche delle istituzioni che ricalcano quegli stessi schemi: il lieto fine, il manicheismo spinto e la figura di un presunto salvatore hanno una funzione catartica e normalizzante, che disinnesca il pericolo di ribellioni, insurrezioni e rivolte popolari. Il tutto è volto a mantenere la massa nell'immobilità e nell'ignoranza, così da continuare a sfruttarla impunemente. In tale contesto, si va ben al di là della semplicistica lotta di classe evocata da Marx, ma ci si ritrova a osservare una realtà distopica in cui esiste soltanto la massa e, molto al di sopra di essa, i suoi sfruttatori e manipolatori con i loro “camerieri”.

Forse sarebbe ora che l'umanità si evolvesse e andasse oltre l'età dell'infanzia, affrontando la realtà. Occorre che le persone riconoscano che in un'epoca come la nostra – nella quale ormai le maschere stanno cadendo una dopo l'altra –, la narrativa di stampo popolare non ha più alcuna ragione d'essere. Nessuno verrà a salvarci da noi stessi, non esiste alcun lieto fine e si abusa del dualismo per eliminare dalla realtà ogni complessità; lo scopo principale è quello di ingannare le moltitudini e cercare di occultare i perenni doppi standard di chi detiene il potere.

In conclusione, non solo le storie manichee tendono a distorcere la visione del mondo delle persone, ma non posseggono neppure presunti, edificanti insegnamenti morali che sono introvabili nelle storie impegnate, come taluni vorrebbero farci credere. Anzi, è proprio vero il contrario: è nella complessità delle seconde che è possibile avvicinarsi maggiormente ai meccanismi della realtà, nonché alla vera (e spesso contraddittoria) natura umana, con tutte le sue luci e le sue ombre.

 

M.G.