Da dove cominciare quando si parla di un grande uomo, un grande artista, che però non si è mai conosciuto se non attraverso il suo lavoro? Un'impresa difficile, ma alla quale non posso sottrarmi in alcun modo, avendo un debito nei suoi confronti. Solo stamani, due settimane dopo il fatto, mi è giunta la notizia della morte del celebre mangaka e creatore di Berserk, il 6 Maggio 2021, il quale lascia il suo magnum opus incompleto e un grande vuoto nel cuore di tutti i suoi fan nel mondo. Un evento triste che anni fa accadde anche alla morte di Robert Jordan, ma grazie a Brandon Sanderson i lettori riuscirono a vedere la conclusione della celebre saga fantasy "La Ruota del Tempo". Sarà anche il caso di Berserk? Credo che tutti i suoi fan se lo auspichino, sebbene nell'arte figurativa del disegno vi siano più complicazioni rispetto alla letteratura.
Berserk fu serializzato per la prima volta in Giappone, neanche a farlo apposta, nel 1989 (anno di nascita del sottoscritto, come fosse un segno), ma giunse in Italia soltanto nel 1996. Il mio personale rapporto con l'opera iniziò a causa di mio fratello maggiore che all'epoca la seguiva e, all'età di 15 anni, cominciai a mia volta a leggerlo e ne rimasi stregato. Io non ho mai conosciuto l'uomo dietro ai disegni, ma posso dire di aver conosciuto intimamente l'artista attraverso di essi, ed egli mi ha influenzato molto (forse quanto degli scrittori veri e propri) negli anni della mia formazione e oltre.
Il manga (o fumetto), racconta le vicende di Gatsu (reso in inglese come Guts), un bambino che una compagnia di mercenari trova sotto l'albero al quale è impiccata la madre. I vagiti suonano come un inno alla vita, in contrasto con la morte che circonda il nuovo nato, e il piccolo viene cresciuto e addestrato a combattere fin dalla più tenera età. Nato dalla morte e come tale a essa più vicino di chiunque altro, Gatsu vivrà una vita cruda e difficile che temprerà il suo carattere. Senza narrare tutte le vicissitudini di una storia che potrebbe restare priva di conclusione, vorrei spendere due parole su ciò che mi ha sempre colpito dell'opera e di Miura stesso, spingendomi a considerarlo uno dei più grandi mangaka di tutti i tempi.
Contrariamente alla maggior parte dei disegnatori nipponici, Miura scelse di rappresentare un mondo dark fantasy profondamente ispirato al Medioevo europeo, seppur calcando la mano sul lato violento e oscuro e dipingendolo come esageratamente oscurantista. Al di là dell'immensa perizia dimostrata nei disegni (specie quand'era più giovane) e dell'ambientazione di forte stampo occidentale, ciò che ha contribuito in larga misura a rendere la sua opera grande sono i contenuti. Mentre molti mangaka e fumettisti, seppur bravi, sono pur sempre "solo" disegnatori (come Yoshiro Togashi o il celebre Akira Toriyama), Miura possedeva quel qualcosa in più che lo elevava. Di cosa si tratta? Semplice, la vena autoriale. Un parallelo simile si può tracciare con Hideo Kojima nel mondo dei videogiochi: non è "solo" uno sviluppatore ma anche uno scrittore. Si potrebbero fare esempi anche in ambito cinematografico o musicale, ma credo di aver reso l'idea.
Gatsu nell'arco della Squadra dei Falchi
L'autorialità non è qualcosa che si impara, a mio avviso, ma qualcosa che o si possiede o non si possiede; potreste vederla come un aspetto del talento. Al di là degli innumerevoli simbolismi a cui Berserk ci ha abituato, più o meno palesi (rimandi a Odino, Tyr, ai sette peccati capitali...), vi sono anche molte tematiche che si riscontrano nel corso della storia. La concezione del libero arbitrio come illusorio, la violenza come motore che muove il mondo, lo scontro tra la fede nuova e la vecchia (penso qui al rapporto tra i chierici e la strega Shilke); l'idealismo di un mondo perfetto asservito alle ambizioni di un solo uomo, e così via.
Vi è una crescita marcata nei personaggi più importanti (enorme se paragonata a molti altri fumetti), vi sono pathos e piccoli momenti di lirismo, quasi filosofici, che finiscono per guarnire una torta di carne e sangue. Al contrario di molte opere, Berserk non propone una violenza gratuita ma, come accade nelle opere migliori, ha un motivo di essere ed è spesso sia fonte di determinazione che di disperazione per i personaggi. Dà loro motivazione, li spinge a interrogarsi sul perchè il mondo è così crudele, su come si possa opporsi a esso se non contrapponendo alla violenza altra violenza. In tutto ciò però, Miura riesce anche di tanto in tanto a farci sorridere, senza dimenticare un lato leggero, in genere portato avanti dall'elfo Pak (o Puck) e dal giovane Isidoro.
Dopo questa doverosa premessa, giungo al come Berserk sia stato nel corso degli anni (e ancora sia) per me fonte di ispirazione. Fin da ragazzino non ho mai avuto una vita facile e, sorvolando sugli episodi personali, rivedevo molto di me stesso in Gatsu e nella sua solitudine. Oltre a ciò, l'opera acuì il fascino che già provavo per l'epoca medioevale e il fantasy e mi spinse, a 15 anni, a produrre uno dei miei primissimi manoscritti (che conservo ancora da qualche parte). Il protagonista ricordava un po' me e un po' Gatsu e "Il Cavaliere Nero" fu quella che ancora oggi considero la mia prima storia importante. La scrissi in un periodo davvero buio, nel quale andai anche in depressione e mi fermai a tanto così dal suicidio, un attimo di lucida follia adolescenziale che non scorderò mai.
Berserk mi fornì quindi l'ispirazione per creare un mondo simile a quello di Miura, tragico e violento, desolato, che rappresentava in un certo senso il modo in cui vedevo la mia vita; si trattò anche di una valvola di sfogo che mi evitò di impazzire e abbandonarmi alla disperazione. Scrivere quel romanzo acerbo (anche se allora non potevo saperlo), fu un po' come spurgare una ferita infetta e lasciar uscire tutto il male che vi si era accumulato. Non so se avrei scritto la medesima storia senza Berserk ma mi piace pensare che, anche se sempre cupa, sarebbe stata certamente diversa.
Negli anni mi cimentai in vari romanzi di formazione nell'ambito di un fantasy più tradizionale (feci anche una breve escursione nella fantascienza). Ora che sono giunto a una maturità stilistica e intellettuale sufficiente però, ho creato un nuovo mondo e un nuovo cavaliere nero come protagonista, stavolta tutto mio, che forse il grande mangaka avrebbe apprezzato: una saga dark fantasy a cui ho accennato più volte nel blog, dal titolo "Dèi e uomini". Sono tornato quindi alle origini, come un figliol prodigo, producendo al meglio delle mie capacità ciò che amo di più. E sebbene Miura sia stato un fumettista, come ho detto era nel profondo anche uno scrittore e, come lui, spero un giorno di poter dare anch'io il mio contributo (per quanto modesto) al genere dark fantasy e a renderlo grande.
Grazie di tutto, maestro Miura. Quando ci vedremo dall'altra parte, ti chiederò di raccontarmi il finale della tua storia...
Nessun commento:
Posta un commento