domenica 12 settembre 2021

Il Giappone e il cyberpunk

È doveroso aprire questo breve saggio citando uno dei fondatori di tale sottogenere della fantascienza, William Gibson: «Il Giappone moderno era semplicemente cyberpunk. I giapponesi stessi lo sapevano e ne erano deliziati. Ricordo il mio primo assaggio di Shibuya, quando uno dei giovani giornalisti di Tokyo che mi aveva portato lì, il suo viso inzuppato nella luce di mille soli dei media – tutte quelle imponenti strisce di informazioni commerciali – disse: “Vedi? Vedi? È la città di Blade Runner”. E lo era. Lo era così palesemente». 

Ciò che risulta più interessante è che il cyberpunk giapponese non nacque in risposta allo stimolo occidentale, quanto piuttosto in parallelo e in maniera del tutto indipendente nei primi anni ottanta, principalmente nei circuiti di cinema underground. Si ritiene infatti Bakuretsu toshi (1982) di Sougo Ishii la pellicola iniziatrice del genere, sebbene la vera codifica del genere giunse con Tetsuo (1989), di Shin'ya Tsukamoto. 

Il cyberpunk giapponese delle origini comprendeva di solito tra i temi ricorrenti la mutazione, la tecnologia, la disumanizzazione, la repressione e la devianza sessuale. Fu soltanto col suo approdo all'interno di opere tipicamente nipponiche, come manga e anime, che esso subì una certa evoluzione, purtuttavia mantenendo i punti di contatto con il suo corrispettivo occidentale. Ed è qui il nocciolo della questione: il cyberpunk si è evoluto in occidente così come in oriente più o meno allo stesso modo, presentando spesso elementi, tematiche e situazioni comuni, questo anche prima che l'uno influenzasse l'altro. Da ciò si può quindi dedurre che il cyberpunk si basi su una visione futuristica del mondo condivisa, e la ricezione positiva di pubblico e critica delle opere nipponiche nel resto del globo non fa che confermare tale tesi. 

Il suo debutto nel mondo dell'animazione in Giappone avvenne prima con Akira (1982), seguito (fra i più celebri) nel corso di un trentennio, da Ghost in the Shell (1989), Battle Angel Alita (1990), Neon Genesis Evangelion (1995), Cowboy Bebop (1997) e infine Psycho-Pass (2012). Da alcune di queste opere sono state tratte pellicole cinematografiche (come Ghost in the Shell di Rupert Sanders del 2017 e Alita – Angelo della battaglia di Robert Rodriguez, del 2019) e persino videogiochi. 

Ciò che ha reso preziosa la produzione nipponica è la sua duttilità, poiché riesce a toccare le questioni più disparate: in Alita (e ancora di più in Ghost in the Shell ) si esplorano tematiche come il rapporto tra la mente e il suo involucro; l'unione tra umano e artificiale e la natura dei sentimenti e dell'anima. Temi affrontati anche da un videogioco canadese del 2011, Deus Ex: Human Revolution, nel quale la domanda filosofica che ci si pone è: cosa ci rende davvero umani e quando si cessa di essere tali? 

Per contro, Cowboy Bebop è un anime che si compone di molti tasselli comuni al cyberpunk, pur senza concentrarsi nello specifico su nessuno di essi. C'è Ed, una piccola hacker di talento, Faye, la donna senza memoria, che simboleggia il legame con il passato; Jet, che ha cercato di costruirsi dei nuovi valori perché deluso da quelli tradizionali. Infine Spike, un uomo in guerra con se stesso e alla ricerca di un'unica risposta e di una sola donna in tutto il sistema solare. Tra il degrado delle colonie e la miseria della vita, ci si prospetta un universo narrativo dominato da espedienti e dalla criminalità, così come da ecoterroristi e sette religiose New Age. I protagonisti si muovono su uno sfondo dalle mille sfaccettature mai banale, complice anche la scelta di presentare molti episodi come storie indipendenti e drammatiche. 

Psycho-Pass infine, è nato dal genio di Gen Urobuchi, noto anche per i celebri Puella Magi Madoka Magica e Fate/Zero. Se Cowboy Bebop presenta un'ambientazione spaziale tra Marte e i satelliti gioviani che contiene una forte pastiche, Psycho-Pass sceglie invece di concentrarsi sui drammi di una società orwelliana dominata dal sistema Sibyl; esso calcola il coefficiente di criminalità delle persone, divenendo a tutti gli effetti un valido metodo di controllo e repressione delle masse. Tra i temi portanti vi sono infatti la legittimità del sistema stesso, la sua interferenza con il libero arbitrio del singolo e il rapporto tra i benefici e il prezzo che esso comporta. 

In conclusione, pur mantenendo una propria identità stilistica e concettuale che si è evoluta negli ultimi quarant'anni, il cyberpunk nipponico è indiscutibilmente legato a doppio filo a quello occidentale; è segno forse che la visione del futuro, nonché i sogni e le paure dell'umanità tra distopia, tecnologia e digitalizzazione, sono universali e condivise molto più strettamente di quanto non si pensi.


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