sabato 18 gennaio 2020

Considerazioni e critiche relative all'High Fantasy

Il celebre occhio di Sauron



Finora mi sono limitato a disquisire di horror, che è solo uno dei miei tre generi preferiti. Prima o poi troverò uno spunto interessante anche per la fantascienza, ma oggi vorrei parlare di fantasy. In particolare, prenderò in esame il genere più classico che ci sia, quello dell'High Fantasy. Si potrebbe dire che a inventarlo siano stati gli antichi, greci, egizi e sumeri, con i loro miti che narravano delle gesta di eroi dalle origini semidivine che interagivano con dèi e mortali. Non mi addentrerò nella concreta possibilità che vi fosse almeno un fondo di verità in questi racconti, ma lascerò questo argomento per un altro giorno.



Nel corso del tempo, i miti hanno continuato a costituire il fulcro del fantasy eroico fino allo sviluppo di una letteratura proto-moderna (si pensi a Beowulf e Grendel). Ma ora veniamo alla parte che ci interessa davvero: il genere negli ultimi due secoli, dall'inizio del 1900 a oggi. Ci sono stati molti autori che si sono cimentati nel fantasy eroico, ma considerata la sua fama, prenderò in esame in particolare J.R.R. Tolkien e il suo "Il Signore degli Anelli".


Possiamo tutti concordare che l'eterna lotta tra bene e male, luce e oscurità, rappresenti il fulcro della maggior parte delle storie (per citare Rust Cohle nella prima stagione di "True Detective"): pensiamo non solo all'opera di Tolkien, ma anche a Dracula di Stoker, e se vogliamo spingerci fuori dalla letteratura, Star Wars e mille altre opere di fantasia. E qui mi ricollego al mio precedente post riguardante la figura dell'antagonista e in particolare del vampiro. Cosa c'entra? Beh, ma tutto!


Di solito, si tende ad associare l'antagonista al male, punto. Sauron è male, Voldemort di Harry Potter è male. Qual è il problema di fondo di questa chiave di lettura, condivisa spesso da molte opere di fantasia e che è praticamente alla base dell'High Fantasy? La banalità, l'essere cliché. Come accennato nel post che ho linkato qui sopra, troppo spesso si tende a ridurre gli antagonisti a spauracchi che sono soltanto una versione speculare degli eroi. Ciò si riflette anche nel resto dell'opera, di fatto rendendo troppo stereotipati personaggi e situazioni. Manca di realismo.


A mio parere, in ogni opera di fiction, perfino di fantasy, c'è la necessità di attenersi (almeno quanto possibile) alla realtà. E nella realtà non esistono individui solamente virtuosi o universalmente malvagi. Ma mentre la Rowling almeno tenta (in modo un po' maldestro e a mio avviso non del tutto riuscito) di giustificare il personaggio di Voldemort, Tolkien non si disturba a fare lo stesso per Sauron (almeno non nella trilogia, cioè dove sarebbe stato necessario farlo). E ciò di solito accade nella maggior parte della narrativa, specie nel fantasy. Dando spessore e un background solido agli antagonisti, così come conferendo anche lati negativi ai protagonisti, si salvaguarda il concetto di realismo, che è (almeno per me) qualcosa di imprescindibile.

Lord Voldemort in azione


La necessità di non banalizzare la propria opera riducendola al solo "bene contro male" è però una di molteplici debolezze del'High Fantasy (altri generi, per un motivo o un altro, sono più di rado afflitti da questa problematica). Anche lo sviluppo e l'evoluzione dei protagonisti spesso si percepiscono come forzate, non del tutto naturali e di solito non di sufficiente impatto se paragonate alla storia. Guardiamo lo sviluppo di Frodo e Aragorn... ma c'è davvero uno sviluppo? Sì e no. Aragorn è esattamente lo stesso all'inizio del primo libro come alla fine del terzo, l'unica differenza è la sua accettazione del ruolo di Re degli Uomini che gli spetta, e con esso il peso della corona e del trono di Gondor. Si è convinto che la sua discendenza non significa necessariamente che sarà debole come lo fu Isildur. Uno sviluppo un po' magrolino, considerata l'epicità della storia nel complesso e di tutte le prove che deve superare, non trovate?

E Frodo? Apprende il vero valore dell'amicizia e del sacrificio. In questo si evolve forse un po' meglio rispetto ad altri personaggi. I protagonisti dell'opera, tuttavia, risultano essere almeno per me sempre vagamente bidimensionali in questo senso. Oserei dire quasi di cartapesta. Specie considerato che Tolkien ha avuto a disposizione tre libri grossi come mattoni per caratterizzarli. Forse è la mia natura estremamente critica a parlare, ma io la vedo così.

D'altronde, ogni scrittore ha nel suo stile intrinseci pregi e difetti. Uno dei più grandi punti forti di Tolkien era la sua abilità nel World Building: molti autori (incluso il sottoscritto) non sarebbero mai in grado nemmeno di avvistarlo con un binocolo, figuriamoci eguagliarlo. Per contro però, che sia una sua mancanza stilistica o una scelta vera e propria, non posso che criticare la banalità del tutto. Oppure far notare la presenza di alcune forzature nella storia per costringere Frodo a percorrere l'interminabile e periglioso viaggio.

In tutto il cast del Signore degli Anelli, Gollum è forse il mio personaggio preferito proprio perché l'unico a risultare (nella sua ambigua dualità) il più realistico di tutti, con il quale ci si può identificare meglio. Gollum non è malvagio per natura. Si tratta soltanto di una delle tante vittime del potere dell'Unico Anello. Intervalla la sua generale perfidia e la sua ossessione per il tesoro con sprazzi di bontà, fino a giungere alla crisi finale che lo precipita di nuovo nella sua profonda follia. Si tratta di un personaggio fantastico proprio per questi motivi.

Gollum o Sméagol?


L'unico altro personaggio a risultare simile a Gollum è Boromir, la cui prematura dipartita però non gli consente di ricevere uno sviluppo adeguato, che gli avrebbe permesso di brillare molto di più, persino più di Aragorn. La sostanza della mia critica quindi, è che l'High Fantasy sia per natura un genere in bianco e nero, i cui maggiori fruitori sono e saranno sempre i più giovani. Si può certo apprezzare comunque una buona storia, lungi da me negarlo, ma prima o poi si raggiunge un punto di maturità nel quale si desidera maggiore complessità e realismo, sano egoismo nei protagonisti, amore negli antagonisti. Sono giunto a questa conclusione dopo aver letto e scritto per quasi vent'anni, di molti generi ma soprattutto fantasy formulare. Personalmente però, maturando, ho cercato di rendere i miei personaggi più e più umani col passare del tempo. 


Se non High Fantasy, quale tipo di fantasy dovremmo scrivere, allora? Ciascuno dovrebbe occuparsi di ciò che trova più naturale e congeniale per se stesso/a. Per quanto mi riguarda, ho trovato la mia dimensione nel Dark Fantasy. Oltre ai motivi già citati, posso aggiungere che un'altra motivazione a spingermi in quella direzione è stata l'elemento cupo, più violento e più maturo che lo contraddistingue, evocando un tipo di opera che ricorda periodi sanguinosi come quelli delle crociate o della caccia alle streghe. Si può ben dire che in quel periodo persino gli innocenti e più insospettabili potevano invece rivelarsi degli incredibili manigoldi a dispetto delle apparenze. Di nuovo, ciò aiuta a investire l'opera di un maggior realismo, così come di una maggiore dignità nel reame della letteratura. Qui non c'è posto per gli eroi senza macchia, si lascia spazio agli antieroi, che io apprezzo molto di più. Un eroe salva un innocente senza esitazione, ove un antieroe invece ne valuta prima i pro e i contro. Anche alcuni protagonisti dello Sword and Sorcery (o Heroic), sono antieroi, mercenari o altro (penso al Conan di Howard), e riescono a sfuggire ad alcune magagne presenti nell'High Fantasy. 



Quando scrivo di storie e personaggi, cerco sempre di tenere a mente tutto ciò per costruire qualcosa che sia quanto più realistico possibile, un mondo nel quale il lettore (e io prima di lui) possa perdersi e dimenticare di star leggendo un'opera di fantasia. I miei quattro obiettivi finali sono questi:

1. Scrivere una buona storia (ovviamente)
2. Rendere tale storia il più possibile credibile e avvincente
3. Creare personaggi altrettanto realistici e ben caratterizzati
4. Tessere nell'arazzo anche importanti tematiche


In definitiva, non credo esista un modo "giusto" o "sbagliato" di scrivere storie. Autori che apprezzo come Michael Crichton (pace all'anima sua) o Glenn Cooper e John Grisham, spesso ignorano il quarto punto e riescono comunque a scrivere libri ben degni d'esser letti e apprezzati. La mancanza di tematiche forti (o di uno smodato realismo) non significa che essi non meritino i nostri soldi e il nostro tempo, anzi. Tuttavia, le storie che ci restano maggiormente nel cuore hanno sempre qualche messaggio, qualche quesito implicito che l'autore lascia tra le righe perché il lettore lo raccolga, e cercano di avvicinarsi il più possibile al mondo reale. Ed è questo il genere di storie che mi sono votato a scrivere.


Nel prossimo blog affronterò un'altra breve critica riguardante il genere fantasy: l'assenza o la presenza marginale della magia nelle opere di alcuni autori. Alla prossima! 

Viggo Mortensen nei panni di Aragorn

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