Geralt di Rivia: pecche e pregi della saga dello strigo
Parecchi mesi fa ho terminato di leggere l'ultimo libro della celebre saga dell'autore polacco Andrzej Sapkowski, ma per un motivo o per un altro, non avevo pensato di scrivere un post a riguardo sul blog. Tenete presente che si tratterà come sempre di una lettura priva di spoiler legati alla trama.
Occorre anzitutto fare una breve premessa:
Nonostante si tratti di un'opera che risale agli anni Novanta, quand'ero ragazzino, la scoprii solo nove anni fa per vie trasverse. Come avrete capito da alcuni miei post precedenti, oltre alla letteratura ho svariati altri interessi, tra cui anime, videogiochi e film. Scoprii la saga di Geralt con l'uscita del secondo capitolo del videogioco basato sullo strigo, su Xbox 360, The Witcher 2: Assassins of Kings. Il primo gioco era uscito solo su PC ed era pertanto un prodotto noto perlopiù ai fan o a chi si era imbattuto in esso per puro caso. Decisi comunque di dargli una possibilità e lo comprai di seconda mano per Natale.
Il gioco in sé non mi piacque a livello ludico per via di alcune scelte degli sviluppatori e altre pecche piuttosto evidenti (senza addentrarmi in una recensione di cui sarei benissimo capace ma che esulerebbe dal tema del post), ma ne apprezzai moltissimo la storia, i personaggi e il world building. Ora, occorre fare un salto in avanti di sei o sette anni, quando uscì il terzo capitolo su PS4. Decisi di dargli un'altra possibilità in quanto tutti ne parlavano bene, e non me ne pentii, perché mi piacque moltissimo, nonostante avesse ancora diverse pecche che si sarebbero potute limare.
A questo punto ero già a conoscenza dell'esistenza dei racconti e dei romanzi di Sapkowski sui quali si basava il gioco, ma non avevo ancora avuto modo di leggerli. Guardai poi la prima stagione della serie TV e solo allora recuperai finalmente tutti i libri dedicati allo strigo. Che cosa ha a che fare il mio rapporto con i videogiochi e la serie TV con i romanzi? Be', tutto, dato che la mia critica parte proprio da lì: si tratta di uno dei rari casi in cui oso affermare che le creazioni derivate sono (almeno in certa misura e sotto certi aspetti) migliori dell'opera originale. Il fatto che Sapkowski stesso abbia asserito di non provare molto interesse per le opere ispirate alla sua (e di non averne nemmeno fruito), la dice lunga sulla sua spocchia... inutile dire che leggere una sola intervista all'autore mi ha portato a non nutrire per lui grande simpatia. Si tratta di un atteggiamento opposto a quello che uno scrittore, anzi, qualunque artista dovrebbe avere nei confronti di chiunque si sobbarchi il lavoro di dare lustro alla sua opera (o comunque diffonderla).
Preferisco comunque segnalare prima i pregi della scrittura di Sapkowski, e poi elencare quelli che ho trovato essere i punti carenti dei suoi scritti, i quali mi hanno portato alla mia conclusione.
1. Le descrizioni
La parte descrittiva è certamente un grosso punto a favore dell'autore polacco, che si dimostra molto versatile e bravissimo nel mostrare le scene, che si tratti di un semplice bosco durante il viaggio, di una battaglia caotica o di una fortezza buia. In effetti, spesso forse si dilunga un pochino troppo, spezzando a volte il ritmo della narrazione, ma è qualcosa di perdonabile, dato che Sapkowski sa il fatto suo.
2. I dialoghi
Il discorso diretto è in linea di massima molto scorrevole in confronto a tanti altri fantasy dalle conversazioni legnose e poco credibili, con molti botta e risposta, tanto che i dialoghi di Sapkowski mi hanno ricordato un po' quelli di Elmore Leonard. C'è poi da segnalare che nei primi volumi a volte i dialoghi procedevano troppo a lungo senza nessun movimento da parte dei personaggi, ma l'autore col tempo ha sopperito a questa mancanza, regalandoci conversazioni in genere ben strutturate.
3. Il world building
Il mondo costruito dall'autore è eccezionale e - sebbene egli abbia introdotto e menzionato molte creature tratte dalla mitologia classica (draghi, vampiri e grifoni) - ne ha inserite alcune inedite e interessanti, inclusi appunto gli strighi, figure decisamente carismatiche e oscure. Purtroppo, come vedremo nella seconda parte, Sapkowski non ha saputo sfruttare appieno il suo mondo, ed è un vero peccato. Parte del world building è anche la situazione economica, sociale e geopolitica dei regni presi in considerazione dall'autore, e anche qui bisogna prendere atto della sua abilità, ma di nuovo, c'è un rovescio della medaglia di cui parleremo tra poco. I rapporti tra le corone, l'instabilità politica, i tradimenti, abbiamo visto tutto questo anche nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin e, seppur tali vicende siano ben narrate e innestate perfettamente, non sono personalmente ciò che mi interessa di più in un fantasy. Sono certamente elementi che contribuiscono alla credibilità del tutto e all'atmosfera generale, ma come dicevano gli antichi, In medio stat virtus.
Veniamo ora a quelle che (almeno secondo me) sono le note dolenti.
1. L'altra faccia del world building
Abbiamo parlato delle grandi potenzialità del mondo creato dall'autore e l'abbiamo visto in positivo, ma c'è un lato oscuro: Sapkowski ha posto troppo l'accento sul lato politico, militare ed economico, trascurando quello magico e sovrannaturale. Al contrario del Trono di Spade infatti, esso dovrebbe essere quantomeno centrale in un'opera che parla di "Congiunzione delle Sfere" per spiegare l'apparizione della magia e delle creature che la popolano, e nella quale il protagonista stesso è un mutante cacciatore di mostri in grado di usare basilari incantesimi e creare pozioni.
Bene, nel videogioco questi elementi hanno un ruolo piuttosto marcato e vengono investiti della stessa importanza di quelli politici e militari. Viceversa, nei romanzi e racconti, Geralt usa le sue pozioni una manciata di volte nell'intera saga, e si serve dei segni non più di una dozzina di volte nel corso di tutti i racconti e romanzi. Ora, può darsi che, come Martin, Sapkowski sia un fedele "tolkeniano", che vuole relegare l'elemento magico e sovrannaturale al ruolo di tappezzeria (discussione che ho già affrontato sul blog e una pratica con la quale mi trovo in disaccordo). Se è così però, perché ha creato un mondo così zeppo di creature sovrannaturali e scelto come protagonista (che protagonista in realtà non è, ma ne parleremo dopo) un cacciatore di mostri mutante lui stesso? Si tratta, a parer mio, di una contraddizione insanabile, e mi piacerebbe davvero sentire cosa avrebbe da dire l'autore in merito.
Lo stesso Geralt, che dovrebbe cacciare mostri per guadagnarsi da vivere, nel libro passa più tempo in prigioni, o a vagabondare alla ricerca di Cirilla, che appunto a svolgere il suo lavoro di strigo. Per quanto mi riguarda, la presenza di davvero troppe poche scene con creature sovrannaturali è stata una grossa delusione, così come lo è stata la scelta di relegare tutte le informazioni sugli strighi in secondo piano, menzionandole di sfuggita come se non fossero importanti. E ancora, ci sono dozzine di mostri e creature che a volte vengono nominati e non appaiono mai, neppure nei racconti più secondari delle raccolte. Come avevo anticipato prima, un vero spreco per un world building che aveva delle potenzialità enormi. Ed è per questo che ritengo il videogioco sia più affascinante dell'opera originale: in esso, trovano posto dozzine di mostri partoriti dalla mente dell'autore che perfino sulle pagine non hanno mai avuto l'onore di comparire se non menzionati di sfuggita, e si parla senza reticenza alcuna di argomenti interessanti come la trasformazione in strighi.
2. I personaggi
Veniamo al secondo, grosso punto dolente della saga del witcher. Anzitutto, devo dire che la mancanza di Sapkowski in questo caso deriva da una sua precisa scelta, che non condividerò mai, neanche morto. L'autore ha scelto di eliminare il flusso di coscienza (adottando la focalizzazione zero, mentre io utilizzo quella interna variabile), il che almeno per me, da buon seguace di James Joyce e Virginia Woolf, è qualcosa di impensabile. Lo strumento dello stream of consciousness è ciò che ha permesso alla letteratura moderna di creare dei personaggi tridimensionali e per questo molto più profondi, credibili e ben caratterizzati. Rinunciarvi per qualunque motivo, non può far altro che danneggiarli irrimediabilmente. Se Sapkowski avesse sacrificato solo un po' dello spazio che ha usato per le descrizioni e per gli elementi diplomatici e politici dei suoi scritti per esplorare invece i personaggi (persino se si fosse attenuto alla sua scelta della focalizzazione zero), l'opera ne avrebbe giovato immensamente, a parer mio.
Geralt di Rivia
Anzitutto, l'autore ha letteralmente sprecato un potenziale tema che avrebbe potuto sviluppare nelle sue opere, che è la discriminazione del protagonista da parte del resto della società. L'ostracismo fa qualche comparsa qua e là, come un folletto, ma è presto dimenticato, e lo scrittore non ha capitalizzato su di esso, né esplorato il passato di Geralt per conferire maggiore profondità al personaggio. Esiste un racconto i cui protagonisti sono i genitori di Geralt: esso narra di come si incontrano e vi è una parte della storia vera e propria in cui si affrontano le origini dello strigo in maniera, a mio avviso, del tutto superficiale e assolutamente deludente. O almeno, da lettore mi sono trovato molto insoddisfatto da questo aspetto. Il tratto distintivo degli strighi poi, secondo cui le loro emozioni diventano molto meno marcate, fino quasi a scomparire, è un'altra cosa che non ho mandato giù a livello di world building perché mi ha sempre dato la netta sensazione che l'autore se la sia inventata per non essere costretto a impegnarsi troppo per caratterizzarlo. Quale che ne sia il motivo, lo strigo ne ha risentito moltissimo, e risulta davvero un personaggio "sbiadito". Non riusciamo nemmeno a capire quali siano le sue convinzioni in merito alla dicotomia tra bene e male, giusto o sbagliato, perché spesso sembra agire a caso, senza alcuna bussola morale o convinzione, né ce le spiega a parole interagendo con altri personaggi (il che sarebbe stato almeno un palliativo data la mancanza di stream of consciousness). Tutt'al più finisce per chiudersi nel suo silenzio da orso e taglia la conversazione... il che potrebbe anche far parte del carattere, ma di certo non aiuta a delineare il personaggio e le sue convinzioni, dato che non abbiamo accesso alla sua mente e ai suoi pensieri. Direi che è ironico notare come il carattere da lupo solitario di Geralt avrebbe invece funzionato se l'autore avesse scelto la focalizzazione interna. Insomma, si tratta di un protagonista spesso bidimensionale che somiglia più a un personaggio secondario.
Yennefer di Vengerberg
Yen è sicuramente meglio riuscita rispetto a Geralt, principalmente perché, mostrando spesso e senza alcuna reticenza le proprie emozioni, ci appare sicuramente più viva e interessante dello strigo. In particolare, ci sono alcuni capitoli in uno dei primi libri, in cui l'autore per una volta si prende il suo tempo per descrivere il rapporto della maga con la sua allieva Ciri, e devo dire che, almeno per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi, è probabilmente la parte migliore della saga in tal senso (forse l'unica assieme al periodo in cui Ciri vive a Kaer Morhen con gli strighi). Yennefer è intransigente, tirannica, narcisista ed egocentrica, e per quanto la si possa a volte disprezzare, talvolta sa anche mostrare nei momenti più critici di tenere davvero sia a Ciri che a Geralt, il che ce la rende più umana. Si tratta, assieme a Ranuncolo, dell'unico personaggio che non ha risentito della discutibile scelta dell'autore di rinunciare alle fasi di stream of consciousness, proprio perché parla e gesticola molto, al contrario di Geralt e di altri personaggi, come se fosse la prima a volerci far sapere come la pensa o cosa prova. Se Sapkowski avesse adottato degli espedienti simili per altri personaggi della saga, avrebbe sicuramente migliorato di molto la loro caratterizzazione.
La nota negativa però, è che come tutti i personaggi (esclusa Ciri), l'autore non si è disturbato a esplorarne il passato, le motivazioni e le convinzioni in nessun modo, né con flashback o almeno attraverso conversazioni illuminanti che potessero gettare una luce sulla mente della maga. Ed è qui che entra in gioco la serie TV, che invece, spende due interi episodi per narrare le origini e il passato di Yen e di come fosse una ragazza deforme odiata anche dai genitori. Nel libro, c'è un singolo riferimento a Geralt che è in grado (tramite i suoi sensi di strigo) di intravedere la vera Yen e la sua deformità nascosta dalla magia, e sono due righe nell'intera saga. In pratica, nella serie TV hanno fatto quello che avrebbe dovuto fare Sapkowski nelle pagine del suo libro, il che, secondo me, è una mancanza imperdonabile, non importa quanto l'autore in questione sia famoso o bravo. Il retroterra del personaggio e il suo passato vanno esplorati a tutti i costi, prima o poi, nel corso della narrazione (a prescindere dal tipo di focalizzazione adottato). Da lettore lo esigo, da scrittore, preferisco il "poi", perché mi piace che i miei lettori restino affascinati dal mistero dei personaggi, che si sveleranno poco a poco con tutti i loro drammi interiori e i loro traumi. E poi, amo a mia volta "scartarli" poco a poco, come fossero dei gustosi cioccolatini ripieni. I traumi di Geralt e Yen appunto, sono piuttosto grossi, e di nuovo, come per la discriminazione, l'autore avrebbe potuto capitalizzare su tali sofferenze passate per creare pathos e approfondire i personaggi, ma non l'ha fatto. Anche la manifesta sterilità dei due protagonisti assume connotati piuttosto tragici e spesso struggenti che nella serie TV hanno ampio spazio, mentre nei libri vi si allude più volte ma raramente portano a degli sviluppi importanti. Sapkowski allude troppo, come se porgesse un succulento cosciotto di maiale a un morto di fame e poi se lo mangiasse lui. Mostra qualcosa che c'è, ma poi lo tiene in gran parte per sè, e non ne riesco a capire il motivo.
Cirilla
Siamo giunti a quella che probabilmente è la vera e unica protagonista della saga dello strigo. Sorvolando gli spoiler, posso dire che, come Yen, Cirilla riceve molto amore dallo scrittore, in quanto abbondano le parti che la vedono protagonista, il suo passato viene esplorato in quanto parte di esso effettivamente è legato alla storia. Inoltre, le peripezie vissute dalla ragazza mostrano con efficacia il modo in cui si forgia il suo carattere, attraverso mille difficoltà e rischi. Un qualcosa che è comune e oserei dire necessario per lo sviluppo di qualunque protagonista. Anche il suo modo di reagire al mondo che la circonda e alle difficoltà sono credibili e creano un personaggio ben delineato, che si completa ulteriormente attraverso il suo complesso rapporto quasi materno con Yen e vagamente paterno con Geralt, pur non avendo i tre legami di parentela. E per combinazione, Ciri è proprio colei che possiede quei dialoghi illuminanti che alla maggior parte degli altri personaggi mancano (penso ad esempio al soggiorno della ragazza nella capanna dell'eremita). Caro Sapkowski, a costo di sembrare polemico, devo proprio chiederlo... sarebbe stato così difficile dare pari dignità a tutti i tuoi personaggi, invece di concentrarti solo su tre di loro? Personalmente, avrei voluto saperne di più sul vecchio Vesemir, su Eskel e Lambert, i compagni strighi di Geralt, e su quest'ultimo. Avrei voluto approfondire la conoscenza di Regis, e così via per tanti altri personaggi che non hanno ricevuto il giusto spazio.
Ranuncolo
Ranuncolo (in inglese "Dandelion", ovvero "Dente di Leone"), è l'ultimo del terzetto che comprende i personaggi che possiedono una caratterizzazione superiore alla media, assieme a Yen e a Ciri. Un vero dandy e donnaiolo, si può amare od odiare, ma è innegabile che Ranuncolo rappresenti il lato leggero della serie di The Witcher. Proprio come Yen e Ciri, il suo modo di essere è ben delineato; risulta spesso pittoresco ed enfatico, cozzando molto con il riserbo e la pacatezza di Geralt e creando un buon contrasto, che giova a entrambi ma che alla fine dei conti non riesce a compensare le mancanze dell'autore nei confronti dello strigo. Anche nel suo caso, assenza di stream of consciousness e nessuna esplorazione del suo passato: prima di iniziare a viaggiare con Geralt per scrivere delle ballate a lui ispirate, di Ranuncolo non sappiamo quasi nulla, e tale resta la situazione fin quasi alla fine, quando veniamo a sapere pochissimo delle sue origini, ma nessun altro dettaglio. Nel suo caso tuttavia, essendo agli antipodi rispetto a Geralt, abbiamo però almeno la consolazione di qualche discussione accesa con lo strigo e perfino qualche sfuriata del menestrello, quando non si trova d'accordo con il cacciatore di mostri.
Ho preso in esame i quattro personaggi centrali della saga, poiché ve ne sono innumerevoli (Philippa, Milva, Regis, ecc.) che ricevono un trattamento persino peggiore dei protagonisti, essendo personaggi secondari. Ma mentre in alcuni casi (come per Philippa) è comprensibile, lo trovo inaccettabile nel caso di Regis, Milva e Cahir (che comunque viaggiano per un certo tempo con Geralt e hanno un ruolo importante verso la fine). Loro secondo me non ricevono tutto lo spazio che meritano proprio perché Sapkowski sembra o incapace o non interessato a scrivere dal loro punto di vista anche solo una misera scena. E anche nei rari casi in cui lo fa, non esplora il loro passato nemmeno per il minimo indispensabile a dar loro un retroterra decente. Per citare Terry Brooks, se inserisci un personaggio o un avvenimento inutile nella tua storia, la avvii su un binario morto. Se entrano a far parte della compagnia, dovranno uscire dalla nicchia dei personaggi secondari e assumere una maggiore importanza, ma non possono farlo soltanto a metà.
Caso a sé stante è quello di Dijkstra, il capo delle spie della Redania, il quale possiede spesso dei flussi di coscienza e scene in cui il punto di vista è il suo, il che va contro tendenza rispetto al resto della narrazione e risulta stonare soprattutto perchè è un personaggio secondario, e dimostra come, se solo avesse voluto, l'autore avrebbe potuto riservare lo stesso trattamento anche agli altri. Non a caso Dijkstra è il secondario che ho apprezzato di più. Risulta ovvio che non ci sarà mai spazio a sufficienza per tutti, ma allora ritengo sia importante scegliere con più oculatezza quali e quanti personaggi inserire nella propria storia, e se la loro esistenza è giustificata oppure no. Meglio quattro attori in carne e ossa, oppure un centinaio di comparse composte da manichini? Io voto per la prima... e voi?
3. La storia
Parliamoci chiaro: invece di trattarsi della storia di Geralt e Ciri alle prese con qualcosa di grosso, tutto si riduce al vagabondare dei due, che spesso si cercano senza trovarsi, in un andamento frammentario e spesso dispersivo che non sembra avere una struttura ben definita. Si ha l'impressione che gli eventi della vita dei due personaggi siano soltanto un pretesto e che la parte davvero importante sia il conflitto tra i regni in cui si muove lo strigo e l'invasore, Nilfgaard. E, sempre evitando spoiler, posso dire che nella maggior parte dei casi, sembra di leggere un'inconsequenziale serie di eventi e avventure fine a sé stesse, come quelle di Conan il Barbaro. Il che sarebbe stato perfettamente comprensibile e accettabile nel caso in cui lo strigo fosse rimasto, come il personaggio di Howard, il protagonista di racconti brevi. Ma dal momento in cui Sapkowski ha cominciato a scrivere dei romanzi, ci si sarebbe aspettati una storia molto meglio strutturata e ben delineata, considerando anche il gran numero di libri che l'autore polacco si è preso per scriverla.
Perciò anche la storia mi ha lasciato estremamente insoddisfatto, specie considerato che, come ho accennato prima, contiene ben pochi elementi sovrannaturali e creature, Geralt utilizza molto di rado pozioni o segni, e in ultimo, il finale dell'ultimo libro mi ha lasciato con l'amaro in bocca. Senza entrare nel regno degli spoiler, posso dire che si tratta di quello che io definisco "un finale balordo", che non solo è aperto (il che può essere anche legittimo se lo si scrive bene), ma lascia in sospeso una marea di questioni irrisolte e di domande. Al contrario, il gioco The Witcher 3: The Wild Hunt soddisfa molto di più, con i suoi possibili finali, dell'opera originale, che sembra incompleta. Che ne sarà del rapporto con Nilfgaard? Si riuscirà a risolvere la questione, o scoppierà di nuovo la guerra? E che ne è della Caccia Selvaggia e di Avallac'h? E di Geralt, Yen e Ciri? E degli altri strighi? Non aiuta il fatto che l'ultimo volume uscito sia in realtà un prequel che si ricollega al primo romanzo, mostrando degli eventi antecedenti e concludendosi con un epilogo che invece, in teoria, dovrebbe situarsi dopo il libro precedente. Sapkowski stesso ha detto che forse potrebbe scrivere ancora di Geralt ma, onestamente, ritengo avrebbe dovuto avere quantomeno il buonsenso di dare un finale che non fosse così inconclusivo e insoddisfacente. Se decidesse di non continuare, sarebbe davvero un modo pessimo di chiudere la saga dello strigo.
In conclusione, se Sapkowski ha iniziato la saga con una focalizzazione zero piuttosto rigorosa che è quantomeno una scelta e come tale può essere o meno condivisibile, col proseguire dei volumi ha cominciato a "contaminarsi" con un po' di stream of consciousness qui e qualche riflessione là (soprattutto col personaggio di Ciri negli ultimi volumi) che hanno reso la narrazione un ibrido: nè carne nè pesce. Per me, risulta essere un autore sopravvalutato che non ha mai compiuto il salto qualitativo necessario per passare dalla scrittura di racconti antologici a dei romanzi veri e propri, che richiedono un tipo di approccio ben più strutturato e certosino.
In sintesi, non sono libri scritti male nel loro complesso, ma neanche romanzi fantasy che mi sentirei di raccomandare... soprattutto quando esistono autori meno celebri ma più talentuosi, come Brandon Sanderson.
E voi che ne pensate dei romanzi di Geralt? Li avete letti? Siete rimasti soddisfatti dagli aspetti che non hanno invece convinto il sottoscritto?
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