Capitolo XI: Scrivere in Italia
In linea di massima il mondo dell’editoria, a quanto mi è sembrato di capire, non è esente da tutta una serie di magagne che affliggono altri ambiti, come quello lavorativo, politico e calcistico. Specie in Italia. Anche in questo ambiente non mancano favoritismi, clientelismi e ogni sorta di bieca pratica, che lede non solo ai lettori, ma soprattutto agli autori esordienti che meritano davvero una possibilità e che alcuni editori snobbano in favore di chi ha un maggiore “appeal commerciale” o conosce qualcuno ai piani alti (postilla del 2020: ho avuto ulteriore prova di ciò quando anni dopo ho inviato del materiale a una rivista gratuita che pubblica racconti e non si sono degnati nemmeno di rispondere. Uno dei due racconti che inviai era l'Evocazione, che ho pubblicato in seguito. - NDA).
Succede di sicuro anche all’estero, ma ho notato che in altri paesi (ad esempio in America) è più facile che un autore meritevole riesca a trovare la sua strada (penso a Terry Goodkind – oltre 25 milioni di copie vendute) rispetto all'Italia, dove molti esperti del settore scansano spesso gli inediti con ribrezzo o li considerano persino esseri subumani. In America, il “talent scout” è una figura presa molto più sul serio in qualunque ambito, e gli agenti letterari hanno un'importanza di gran lunga maggiore (a essere onesti non so nemmeno se in Italia esistano, in caso affermativo io non ne ho uno).
La stragrande maggioranza degli editori impiega i propri guadagni per stampare un maggior numero di copie di quei pochi autori che sanno venderanno copie garantite, conducendo il mercato in un circolo vizioso nel quale i soldi non verranno quindi (quasi) mai spesi per le “nuove leve”.
Perché rischiare con un nuovo autore di fantasy (per di più nostrano, dove tale genere è sempre stato di nicchia e che si sta riprendendo solo grazie a film e serie tv) quando si hanno a disposizione autori che vendono milioni di copie assicurate (alcuni persino da defunti), come Terry Brooks, George R.R. Martin, Brandon Sanderson, Robert Jordan o Marion Zimmer Bradley? Un simile rischio non ha senso per gli editori, grandi o piccoli. E questo ragionamento non vale solo per il fantasy, badate bene, esso ne è solo l'esempio più eclatante.
Ci sono stati numerosi dibattiti e insinuazioni riguardo all’inatteso successo di Licia Troisi, al suo debutto molti anni fa (no, non ce l'ho con lei, giuro, è solo un esempio troppo ghiotto), una delle poche autrici italiane di fantasy a fare il botto. Stando alle fonti ufficiali, la Troisi spedì alla Mondadori in un malloppo unico la sua prima trilogia, le “Cronache del mondo emerso” che vedono come protagonista Nihal della Terra del Vento. E contro ogni previsione o buonsenso cosa fece la Mondadori? Divise l’opera in una trilogia, avviò una campagna pubblicitaria senza precedenti e la pubblicò senza batter ciglio.
È importante sottolineare che grandi editori come Sperling & Kupfer, la stessa Mondadori, Nord, Fanucci o Bompiani, per citarne alcuni, non pubblicherebbero mai su due piedi un esordiente spendendo tanti soldi in buone copertine, pubblicità a iosa e un grande numero di copie. O almeno, quasi sicuramente non lo farebbero se fossimo io o voi, cari lettori, a inviare un manoscritto. Eppure – anche in altri casi oltre alla Troisi, sebbene meno clamorosi – in realtà a volte succede. Così la gente ha cominciato a mormorare. E a ragion veduta, a mio avviso, considerata la qualità delle prime due trilogie della Troisi e della pentalogia "La Ragazza Drago".
Segue qui sotto una critica al vetriolo all'autrice (potete anche saltarla, ma se volete davvero farvi un'idea dell'orrore che ho provato e di ciò che non va secondo me nei suoi libri, ma soprattutto delle motivazioni dietro la mia amarezza per il suo immeritato successo, allora leggetela). E se pensate che esageri, andatevi a leggere le prime due trilogie del mondo emerso e "La Ragazza Drago"... ma non fatelo da lettori, bensì indossando le "lenti" dello scrittore. Se avete sufficiente esperienza in fatto di scrittura, vi posso assicurare che ben presto vi verranno i capelli dritti.
Al di là dell’essere uno sconosciuto – essere inedito potrebbe anche non avere importanza se si è dei geni – ci troviamo di fronte a un episodio a dir poco sospetto. Specie se si considera la dubbia qualità stilistica dell'autrice. E non sono affatto l'unico a dirlo. Su internet, se volete, potete trovare critici “non ufficiali”, ovvero persone che non lavorano nel panorama editoriale né sono scrittori di professione – si tratta il più delle volte di semplici maniaci della lettura e scrittura creativa – che smontano metodicamente quasi pagina dopo pagina la prima trilogia della Troisi.
Un esempio atroce segnalato da queste persone? Per l’autrice, l’arco non è un’arma che necessita di molta forza per essere usata. Questa, al di fuori del discorso “è un fantasy”, è una bestialità vera e propria. Mio fratello per un periodo praticò tiro con l’arco e mi fece tendere il suo, un semplice arco curvo, di sicuro molto più piccolo dei famosi Longbow inglesi usati in guerra. Il risultato fu che ricordo di aver faticato parecchio per tenderlo senza incoccare nemmeno la freccia. È vero, all’epoca ero un liceale e di costituzione sono tutt’altro che ben piantato, tuttavia è necessario uno sforzo non indifferente per usare un’arma del genere.
Tali persone hanno sottolineato molti aspetti di questo tipo e simili leggerezze si possono ricondurre sia all’editing di Mondadori che a un’ignoranza di fondo dell’autrice. Ed è grave, considerato che la Troisi non è una contadina (con tutto il rispetto per i braccianti naturalmente), bensì un’astrofisica!
Un’altra domanda che mi è sovvenuta – e credo sia lecito porsela – è la seguente: se è appassionata di astronomia e astrofisica, perché scrivere di fantasy – di cui non sa effettivamente una ceppa – invece che di fantascienza? Una delle prime regole dello scrittore è: scrivi ciò che sai. A quanto pare – al di là di usare nomi di stelle per i suoi personaggi – la Troisi ha deciso di ignorare bellamente tale convenzione non scritta, non avendo neppure il buongusto di svolgere un minimo di ricerche.
Per quanto mi riguarda, la mia esperienza principale con il fantasy deriva da giochi come D&D e i suoi derivati elettronici di ruolo, nonché dalla lettura di opere preesistenti che credo abbiano influenzato un paio di generazioni o più (Tolkien, Brooks, Donaldson, Howard e Bradley per citare i più noti). Senza contare i film e la passione persino per opere classiche come “l’Orlando Furioso” di Ludovico Ariosto e per i documentari sul Medioevo.
In ogni caso, non sarò un esperto di tale genere, ma quantomeno ho per esso una passione viscerale e lo conosco a sufficienza da potermi barcamenare in un tipo di narrazione simile senza scrivere eccessive atrocità. E quando tutto ciò non basta, svolgo qualche ricerca un po' più approfondita.
Se poi, all’ignoranza in campo di fantasy della Troisi aggiungiamo la scarsa qualità dello stile e la storia priva di originalità – ma soprattutto di personalità, che a mio avviso è molto più grave –, ecco la trilogia che ha venduto centinaia di migliaia di copie.
Non paga di ciò, l’autrice si è lanciata in altri due mirabolanti archi narrativi nello stesso universo e in altre due saghe distinte: La Ragazza Drago (che ho citato poc'anzi) e I Regni di Nashira (il cui mondo è diviso in quattro stati basati sulle stagioni... che fantasia!), di cui ho letto solo la prima, una pentalogia. La Ragazza Drago, appunto, è quello che io oserei definire uno “urban young pink fantasy”, se tale denominazione si può usare davvero, e stilisticamente non si discosta molto dalla prima trilogia del mondo emerso.
La seconda trilogia del Mondo Emerso viceversa è leggermente migliore (seppur sempre terribile), in quanto ha una protagonista con un background più complesso e interessante; inoltre fa la differenza la figura matura e oscura che è quella del suo maestro Sarnek, che nonostante sia un secondario (e appaia solo in dei flashback) l'autrice dipinge in un modo che sa lasciare il segno meglio di tanti altri personaggi, anche primari.
La storia invece, si innesta sulla saga precedente con un pretesto piuttosto banale e scontato, grazie al quale la Troisi ha potuto tirar fuori un’altra saga dal cilindro senza aggiungere molta sostanza al Mondo Emerso in sé.
Dal punto di vista della prosa, continua l’utilizzo di avverbi davvero inutili, forme passive in sei, sette frasi su dieci e il vizio non solo di “dire invece che mostrare”, ma anche una propensione per il dare implicitamente dello stupido al lettore, con precisazioni superflue quanto mai fuori luogo. È come se Licia cercasse di imboccare chi legge, dicendogli al contempo: “Ti spiego tutto io, dato che non sai ragionare da solo.” E qui ribadisco un concetto cui avevo accennato in precedenza: se scrivi anche per gli adulti, dovresti farti qualche domanda, altrimenti, sono libri che andrebbero venduti per una fascia d’età non di minimo, ma di massimo dodici anni. Prima che qualcuno obietti che sono comunque libri per ragazzi e mi definisca un bacchettone, vi dico: provate a leggere Rick Riordan e la sua decalogia di Percy Jackson, di cui possono fruire anche gli adulti, e paragonatela alle cronache della Troisi. Non c'è partita cari miei... non sono nemmeno nello stesso campo da gioco (per citare Jules in Pulp Fiction).
Un altro difetto delle tre saghe che ho preso in esame (le due trilogie del mondo emerso e la Ragazza Drago) è l’eccessiva importanza data alle relazioni: se si volessero piazzare le vicende sentimentali al centro della storia, si scriverebbe un rosa, non un fantasy, da qui la mia espressione “young pink fantasy”, dato che le protagoniste sono sempre adolescenti di sesso femminile e s’innamorano sempre. Per carità, anche nei miei romanzi a volte nascono relazioni, ma le approfondisco solo quel tanto che basta per le necessità dei personaggi e della storia, lasciando il resto all'immaginazione, proprio perché sto scrivendo un fantasy, non un rosa. A meno che la suddetta relazione non abbia conseguenze enormi sulla storia e su altri personaggi. Il che di solito – almeno nel caso della Troisi – non è.
Anche l’utilizzo di miglia, braccia e altri sistemi di misurazione insoliti che i lettori nemmeno conoscono – per non dire l'autrice – rende tutto confusionario, oltre che in alcuni casi clamorosamente sbagliato. Le descrizioni sono spesso generiche, con pochi particolari e molte volte si ripetono in schemi più o meno simili: ad esempio, le foglie delle piante nei boschi sono sempre “carnose”. La Troisi poi, usa la frammentazione non tanto per dare fluidità al testo o sottolineare un concetto, quanto piuttosto senza alcun criterio apparente: tali frasi brevi, tronche e del tutto superflue sembrano quasi scimmiottare Hemingway.
In ultimo, nella seconda trilogia del mondo emerso, si è addirittura scordata di un personaggio secondario, uno spasimante della protagonista, che da quello che ricordo sparisce letteralmente nel nulla e che l'autrice non riprende nel finale (mancanza gravissima che si può perdonare solo a scrittori di grandissimo calibro... perciò non a me o a lei).
Ci sarebbero di sicuro molte altre cose alle quali potrei pensare, ma mi fermo qui, concludendo che l’unica vera nota positiva che mi sento di segnalare è un ricco pathos nei momenti critici, sebbene anche i caratteri dei personaggi a volte sembrino riciclati (Nihal-Dubhe, Sennar-Lonerin, Laio-Learco). L’unico personaggio che veramente mi è rimasto impresso e mi ha colpito molto – oltre al già citato Sarnek – è stato lo gnomo Ido, Cavaliere di Drago maestro di Nihal. Egli – al contrario della maggior parte dei personaggi della Troisi – ha una storia complessa alle spalle, e comparendo anche nella seconda trilogia, è un po’ colui che fa da ponte tra i due archi narrativi, una faccia amica, per così dire. A mio avviso, di certo il personaggio meglio riuscito delle due trilogie, poiché in qualche modo incarna anche in maniera concreta l’eterno stato belligerante del mondo emerso a cui l’autrice spesso allude.
Vogliamo tirare le somme? La Troisi ha venduto più di un milione di copie totali nonostante la scarsa qualità delle opere (postilla del 2020: il numero sarà di certo aumentato, dato che il presente saggio risale al Dicembre 2014 – NDA). Chi ci rimette? Prima di tutto i lettori, specie quelli che magari non hanno letto molto all'interno del genere e credono di avere tra le mani un ottimo libro – non sono pochi credetemi – e quindi non sapranno riconoscere la vera qualità quando la vedranno. Poi, naturalmente, gli altri inediti. Quando qualcuno si è guadagnato un posto “al sole” come la Troisi, anche qualora un esordiente fosse più bravo sarà sempre difficile – se non impossibile – per lui/lei scalzare un autore famoso dalla sua posizione egemonica nel mercato. Specie in un mercato morente come quello italiano, dove un'enorme fetta del fantasy (ma in generale della narrativa in toto) è di importazione ed è già difficile brillare di per sé. E terzo, gli alberi che si abbattono per stampare quella roba. Sono serissimo.
Ora, non so se l'autrice in questione sia migliorata negli anni (io glielo auguro di sicuro) perché dopo la bellezza di tre saghe non mi sono più disturbato a sprecare il mio tempo leggendo ciò che scriveva.
Stando così le cose, è inutile soffermarsi sulla questione cercando di capire perché la Mondadori abbia scelto di pubblicare la Troisi, o per quale motivo altri editori, anche esteri, lo abbiano fatto con altri esordienti di dubbia qualità (Christopher Paolini, per esempio).
Poteva l’autrice conoscere qualcuno all’interno? Plausibile. Poteva l’editore avere la certezza che avrebbe pubblicato qualcosa in grado di attirare il pubblico e tanti saluti alla qualità? Possibile anche questo. Avevano fatto uso di sostanze stupefacenti durante la lettura del manoscritto? Improbabile, ma non da escludere.
A ogni modo, sono più interessato agli effetti che alle cause del fenomeno in questione. D’altra parte, un lato positivo c’è: qualcuno che consideri – a ragion veduta, e questo è importante sottolinearlo – il proprio lavoro migliore di quello di un autore pagato per il suo e che vende milioni di copie, è una vera e propria iniezione di autostima. Decisamente la sostanza più importante per uno scrittore esordiente (specie se dubbioso e insicuro come me).
In tale contesto, mi sono reso conto negli ultimi tempi dell’importanza degli ebook e dei siti online che ne permettono una pubblicazione autonoma e gratuita su circuiti di vendita universali, come gli appstore degli smartphone e amazon kindle. Si tratta di una rivoluzione che potrebbe cambiare questo stato di cose in un mondo in lenta ma inesorabile digitalizzazione. Tale fenomeno potrebbe da un lato costringere gli editori a riconsiderare gli esordienti, dall’altro obbligarli addirittura a prenderli in considerazione per non perdere una nuova, grossa fetta di mercato. Inoltre, evitando tutti gli intermediari, lo scrittore potrebbe raggiungere la notorietà pubblicizzandosi tramite internet con blog, twitter e facebook, per citare alcuni mezzi. Il prezzo degli ebook infine, è sempre più conveniente del corrispettivo cartaceo, com’è ovvio che sia, invogliando i lettori all’acquisto quando si tratta solo di pochi euro per leggere una buona storia.
Finché però il mercato degli ebook sarà di nicchia però, esso potrà limitarsi solo ad essere il surrogato di ciò di cui uno scrittore ambizioso necessita. In tale contesto, il digitale può fungere da trampolino di lancio per farsi conoscere e soprattutto far riconoscere la qualità del proprio lavoro, che a quel punto editori piccoli e grandi potrebbero prendere in considerazione per una diffusione cartacea più estesa e capillare. Da lì al successo sarebbe poi un passo, grazie all’enorme spinta pubblicitaria di cui la Troisi e Paolini sanno senza dubbio qualcosa.
In un primo momento consideravo l’autopubblicazione online l’ultima risorsa. Ora, dopo anni di ricerche e infruttuosi tentativi e avendo maturato la concezione degli editori come aziende vampiresche senza scrupoli, gli ebook mi sembrano invece l’unica opzione possibile (postilla del 2020: considerate sempre che scrissi queste righe nel lontano 2014, svariati anni prima della mia fortunata pubblicazione - NDA).
Scelta che, se coadiuvata da una reale propensione alla scrittura, a un’autopromozione e pubblicità indefessa e a tanti sacrifici, potrebbe forse un giorno portare al tanto agognato successo. Che abbiate scritto una storia breve, un’intera antologia di racconti o un romanzo – di qualunque entità o lunghezza essi siano – il mio consiglio è di non confidare troppo negli editori, ma principalmente in voi stessi e nel vostro duro lavoro. E naturalmente, nelle critiche costruttive di amici o altri scrittori in erba, se ne conoscete.
Partecipare a concorsi e cercare di farsi un nome sgomitando vi potrà sicuramente aiutare (se otterrete risultati e premi) quando invierete il vostro manoscritto a un editore (specie se importante). Mentirei se dicessi che è tutto nelle vostre mani, perché sfondare in ambito editoriale, specie in Italia, spesso richiede anche un'enorme dose di fortuna.
Se per voi scrivere è importante tanto quanto lo è per me (la considero una vocazione), non posso che augurarvi buona fortuna. Sono certo che – durante le vostre numerose traversate in vasca da bagno – ne avrete bisogno.
Vuoi sapere vome funziona la cosa? Bene, ti dico che son stata dentro una scuola di scrittura. Lí dentro si fanno i giochi. Editori che ricambiano favori pubblicando autori sconosciuti, e parlo di grandi case editrici. Inoltre posso dirti anche che ci sono certi tipi di legami che si vengono a creare, con ragazze e ragazzi, e non di natura letteraria ovviamente. Io ne sono uscita schifata. Ho detto di no a tutti e per questo motivo sono e rimango una sconosciuta. Parlo anche di scrittori che cercavano certi legami per far da mediatoti tra editore e autrice. Dunque adesso lo sai e puoi metterti il cuore in pace. Funziona cosí in Italia, sia per la scrittura che per altri ambienti. Io me ne sono andata, dopo lo stage, rifiutando di fare il corso. Ma chi è rimasto ha pubblicato, è finito alla Rai, ha venduto e continua a esser pubblicata. Io ho scelyo di pubblicare e aiutare picvole case editrici che in cbio non mi hanno mai dato un centesimo nè fatto pubblicità. In Italia è una perdita di tempo credimi. Son tutti bravi a prendersi solfi o qualcos'altro. Specie se sei una ragazza. Se vuoi chiedermi altre cose fai pure.
RispondiEliminaSembra che la situazione sia perfino peggiore di quanto pensassi... mi hai confermato ciò che nel profondo sapevo. Grazie del commento, e soprattutto onore a te per non esserti piegata a questo vile mercimonio dell'arte.
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