Capitolo X: Narratore e punti di vista
Ci sono diversi tipi di narratore: onnisciente, nascosto, esterno alla storia (eterodiegetico), interno alla storia (omodiegetico). In genere il narratore non dovrebbe cambiare la propria natura durante il corso dell’opera, pertanto si parla di “focalizzazioni dogmatiche”. Ne “La Regina dei Dannati” tuttavia, Anne Rice lo fa, passando dalla prima persona quando si concentra sul protagonista, Lestat, alla terza persona quando deve descrivere i fatti dal punto di vista di altri personaggi. Una scelta forse opinabile, che non ho riscontrato in nessun altro romanzo che ho letto fino ad oggi. Ma andiamo con ordine.
Ogni tipo di narratore ha i suoi pro e i suoi contro a seconda di ciò che si vuole scrivere, anche se di norma, io prediligo il tipo onnisciente. Questo narratore conosce alla perfezione situazioni presenti, passate o future di ciò che sta raccontando, la psicologia, i sentimenti e gli scheletri nell’armadio (se ce ne sono) di tutti i personaggi coinvolti; nonché le motivazioni che li spingono ad agire ed eventuali contraddizioni interiori di cui persino tali personaggi potrebbero essere ignari. Il principale vantaggio di tale narrazione (che si esprime in genere con una terza persona distaccata) è che consente una visione d’insieme di gran lunga superiore, permettendo di esplorare ogni singolo anfratto della narrazione, della storia e dei suoi risvolti, della psicologia e dei temi portanti, senza limitazioni. Lo svantaggio più evidente è il minore coinvolgimento emotivo rispetto a un narratore in prima persona, di cui parleremo tra poco.
Il narratore nascosto invece, non conosce nel dettaglio le vicende raccontate, di conseguenza affianca delle supposizioni e opinioni personali alla descrizione degli avvenimenti. Si dice eterodiegetico (ossia esterno alla storia) il narratore non coinvolto nella trama, che si limita a raccontarla. Generalmente si tratta di narratori onniscienti e il racconto avviene in terza persona. L’omodiegetico (interno alla storia) è di solito il protagonista o un personaggio secondario. In genere si tratta di narratori non onniscienti e la narrazione si sviluppa in prima o terza persona. Ci sono poi delle categorie più precise, che comprendono una combinazione di quelle appena citate; si ha la focalizzazione zero quando il narratore è esterno, eterodiegetico e onnisciente: in tal caso lo spettatore è messo in condizione di dominare tutta la narrazione, essendo informato di tutto da un narratore onnisciente che può trovarsi in diversi posti contemporaneamente e analizzare nel dettaglio sentimenti e psicologia di ogni individuo (il tipo che in genere ritrovate nella maggior parte dei fantasy).
La focalizzazione interna, invece, si ha quando il narratore appunto adotta un punto di vista interno, cioè simile a quello che può avere un personaggio che conosce solo determinate vicende e non tutti i pensieri dei suoi co-protagonisti. Si tratta di quella che in genere utilizzo io; nello specifico, mi servo della focalizzazione interna variabile, perché a ogni cambio scena sposto anche il punto di vista da un personaggio all'altro, a volte persino quello degli antagonisti. La focalizzazione esterna si ha quando il narratore adotta un punto di vista esterno e ne sa meno dei personaggi stessi riguardo una determinata vicenda: un esempio tipico è il romanzo poliziesco e in generale, gli stili in cui deve prevalere la suspense nel pubblico. Se poi il narratore rielabora quanto gli è stato detto da un altro personaggio si hanno:
-narratore di primo grado, cioè colui che comunica direttamente con il lettore e che ha elaborato la storia.
-narratore di secondo grado, ovvero la persona che ha comunicato la vicenda a quello di primo grado.
E così via per il terzo, quarto grado e oltre. Senza soffermarci su ulteriori approfondimenti, scoprirete che a seconda del vostro carattere e di ciò che volete raccontare, la scelta del narratore e del punto di vista saranno quasi sempre del tutto automatiche, guidate addirittura dal vostro subconscio. Prima di scrivere questo capitolo infatti (per il quale mi sono dovuto documentare), non ero nemmeno a conoscenza di tutte queste categorie, ma scrivevo “a naso”! Nel mio caso come dicevo, almeno per i romanzi, ho sempre usato la focalizzazione interna variabile, i cui mezzi principali di espressione sono il discorso indiretto libero, il monologo interiore e lo stream of consciousness; tuttavia, di tanto in tanto nei racconti brevi utilizzo anche la prima persona, e ho scoperto che ha anch'essa delle grandi potenzialità, se usata bene.
In genere, tale focalizzazione è una scelta obbligata per il mio stile, che consiste nel cercare di caratterizzare al meglio tutti i personaggi (antagonisti compresi) analizzandoli minuziosamente. Gli svantaggi come dicevo sono il minore impatto emotivo e la quasi totale mancanza di grossi colpi di scena, poiché spesso il lettore viene messo in condizione di conoscere anche le mosse e le intenzioni degli antagonisti (o almeno una parte di esse). Nel caso del fantasy in particolare però, ritengo che sia un compromesso accettabile, così come nella fantascienza, poiché al contrario di gialli e thriller basano la loro narrazione sull’azione e sui rapporti tra i protagonisti e sulle loro vicissitudini, più che sulla sorpresa. L’unico modo per ovviare a questa mancanza sarebbe l’uso della prima persona (alla quale sono di solito contrario nel fantasy) o dell’intreccio, che permetterebbe di costruire ad arte dei colpi di scena nonostante il tipo di narratore, omettendo in modo voluto dalla narrazione dei particolari o delle scene, magari raccontandole successivamente.
Di recente sono riuscito a trovare una sorta di compromesso, scrivendo senza seguire un intreccio stretto ma tenendo per me determinate informazioni per rivelarle solo in seguito, in modo da creare piccoli colpi di scena anche senza avere una trama vera e propria già costruita. Insomma, fare tutto in corso d’opera, quando l’ispirazione lo consente. Se voleste invece dare più enfasi ai sentimenti e al coinvolgimento emotivo, mettendovi allo stesso tempo in condizione di costruire con facilità dei colpi di scena, potreste usare la focalizzazione interna omodiegetica, dove il narratore coincide con uno dei personaggi – di solito il protagonista – e pertanto si narra in prima persona. Sempre in: “Mucchio d’ossa” di King ad esempio, il narratore coincide con lo scrittore protagonista delle vicende, Mike Noonan, permettendo al lettore di immedesimarsi in lui. L’impatto emotivo risulta di gran lunga maggiore e permette di scoprire a poco a poco i risvolti della storia (si tratta di un thriller con elementi paranormali). La terza persona non avrebbe dato lo stesso risultato a opera finita, credetemi.
“La biblioteca dei morti” di Glenn Cooper invece, rappresenta una via di mezzo. L’autore adotta una focalizzazione esterna: il narratore è appunto esterno ma si limita a raccontare e a svelare soltanto ciò che i protagonisti portano alla luce, mantenendo la suspense ma allo stesso tempo avendo la possibilità di narrare episodi lontani nello spazio e nel tempo, utilizzando una terza persona distaccata. Si tratta di un compromesso molto efficace ma che a mio avviso non è molto congeniale a un genere come il fantasy, per il quale ritengo che le scelte migliori siano la focalizzazione interna o zero (anche se personalmente non apprezzo molto quest'ultima per la mancanza di stream of consciousness e caratterizzazione dei personaggi).
In conclusione, si tratta sempre di operare una scelta quando avete deciso di cosa trattare e vi trovate di fronte alla pagina bianca. Difficilmente si può sbagliare in questo caso, perciò lascerò a voi il compito di scoprire qual è la tipologia di narratore che più si adatta alle vostre esigenze del momento. In uno dei miei vecchi romanzi fantasy, intitolato: “I cinque regni”, mi sono ritrovato ad avere parecchi protagonisti da gestire con la focalizzazione interna variabile – ben cinque, uno per ciascun regno – di conseguenza mi sono visto costretto a ridurre di molto le fasi di stream of consciousness perché divenute impossibili da gestire. In caso contrario il romanzo sarebbe divenuto un vero e proprio campo di battaglia. È stato per me un libro importante perché credo sia quello che abbia segnato in maniera definitiva il mio passaggio oltre il confine – definito in modo unanime dagli accademici – degli autori in erba: ho perso il “difetto” di passare spesso dal punto di vista di un personaggio all’altro nel corso dello stesso capitolo o addirittura dello stesso paragrafo.
Nonostante ciò, ero in grado di non confondere il lettore e ne ho la prova (non ho mai confuso la mia ex quando lesse i miei vecchi romanzi), ma mi resi conto che era certamente superfluo. Ci sono altri modi meno invasivi e più raffinati di caratterizzare e far evolvere un individuo e in certi casi, quando si hanno per le mani troppi personaggi, si deve per forza di cose rinunciare allo stream of consciousness in favore di scene o dialoghi in grado di far trasparire un carattere, senza complicare troppo il testo o rallentare in modo eccessivo la storia. E anche in questo caso, come ho detto, le uniche cose che possono impartirvi queste lezioni non sono le prediche (mie o di autori affermati), ma soltanto la pura pratica e il tempo.
In ultima analisi, se state scrivendo in prima persona, il PoV dovrebbe restare fisso sul protagonista per tutta la durata del racconto (o romanzo). Se viceversa state usando la terza persona e un narratore di tipo onnisciente, allora il mio consiglio è di utilizzare i diversi punti di vista dei protagonisti come un ulteriore strumento di scrittura per caratterizzarli al meglio delle vostre possibilità, passando dall'uno all'altro solo al cambio di scena. A tale scopo, sarebbe una buona idea adottare sempre il PoV di uno dei personaggi più importanti in quella scena, in modo da dargli/le il risalto che merita. Oppure potete scegliere di esaminare quella parte tramite gli occhi di un personaggio secondario o un altro protagonista che però ha un certo ascendente sul personaggio centrale di quella specifica sezione. Come sempre, siete voi i giudici migliori in merito (in caso contrario, i primi lettori servono proprio a dare consigli su questo genere di cose).
Se scegliete la focalizzazione zero, infine (come nei “Promessi Sposi”), la vostra vita sarà probabilmente più semplice e potrete concentrarvi di più sulla storia e meno sui personaggi, mantenendo sempre un unico punto di vista.
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