martedì 13 ottobre 2020

Sulla scrittura (Cap.8: I dialoghi)

 Capitolo VIII: I dialoghi

Premetto di essere sempre stato un tipo introverso, pertanto fin dagli esordi della mia “carriera”, i dialoghi sono sempre stati, assieme alla punteggiatura, il mio punto debole. Che vi piacciano o meno, però, essi sono una parte integrante e oserei dire fondamentale della fiction. Ad esempio, Elmore Leonard era in grado di costruire conversazioni fenomenali, dal ritmo fluidissimo, che danno la netta impressione di ascoltare vero parlato. Chiaramente, non tutti gli autori ne sono in grado (Lovecraft era l'opposto, e ne era consapevole, infatti ritroviamo pochissimi discorsi diretti all'interno del suo corpus letterario).

Scrivere con pochi dialoghi essenziali si può fare (come si può nel cinema, penso al capolavoro: “Il Cacciatore”, con Robert De Niro o al più recente “Revenant”, che è valso l'Oscar a DiCaprio ed è tratto da un romanzo), e anche così è possibile creare grandi storie e grandi personaggi, ma... c'è sempre un “ma”, vero? Il discorso diretto non è soltanto un orpello, oppure un qualcosa da rifuggire. Si tratta di un attrezzo, proprio come lo sono il vocabolario, la punteggiatura e le tecniche di scrittura (flashback, ecc.). Bisogna affinare la propria abilità nell'utilizzarlo come tutti gli altri strumenti che abbiamo a disposizione. Il dialogo infatti, non solo ci permette di fare uso dello “show don't tell”, ma anche di far progredire la storia attraverso le informazioni che ne scaturiscono (penso ai polizieschi quando un detective interroga un testimone).

Inoltre, il discorso diretto dà la possibilità di differenziare il modo di parlare dei personaggi per presentarceli in una veste più realistica e soprattutto caratteristica: se nella nostra storia abbiamo un criminale e una vecchietta, i due con tutta probabilità si esprimeranno in modo molto diverso l'uno dall'altra, no? Persino le balbuzie, oppure altre stranezze che potremmo conferire a uno dei personaggi finiscono per dar loro maggior spessore. Ripeto: siete liberissimi di non apprezzare i dialoghi (in quel caso potete sempre leggere tanti manuali, testi filosofici o di psicologia che ne sono privi), ma è fuori d'ogni dubbio che essi siano una parte fondamentale della narrativa, la voce del libro, se mi consentite la licenza poetica.

La prima cosa da considerare, quando si scrive un dialogo, è a chi state mettendo in bocca quella specifica battuta. Conoscere i vostri personaggi quindi (ci arriveremo nel prossimo capitolo,) è fondamentale. Diciamo che il vostro protagonista è un tipo asociale, affetto dalla Sindrome di Asperger... parlerà spesso senza incrociare lo sguardo, in modo assai distaccato, incapace di trasmettere le proprie emozioni o di cogliere quelle altrui. Inoltre, percepirà ogni interazione sociale come una seccatura.
Vi propongo di seguito l'estratto di un romanzo che ho letto di recente, “Alba nera su Tokyo”, di Barry Eisler:

«Come lo hai saputo?» gli domandai.

Posò lo sguardo sul tavolo e poi nuovamente su di me. «Alcuni colleghi del signor Holtzer, della CIA di Tokyo, si sono messi in contatto con la polizia metropolitana. Non erano tanto turbati dalla morte di Holtzer in sé, quanto piuttosto dal modo in cui era avvenuta. Sembravano convinti che ci fosse il tuo zampino.»

Io non proferii parola.

«Volevano che noi li aiutassimo a scovarti», proseguì. «I miei superiori mi hanno ordinato di fornire loro la massima collaborazione.»

«Perché sono venuti a chiedere aiuto proprio a te?»

«Ho il sospetto che la CIA abbia ricevuto l'incarico di eliminare almeno una parte della corruzione che paralizza l'economia giapponese. Gli Stati Uniti temono che, se la situazione dovesse degenerare, il sistema finanziario giapponese crollerebbe. E questo produrrebbe un effetto a catena, con conseguente recessione globale.»

La preoccupazione dello Zio Sam era comprensibile. Tutti sapevano che i politici giapponesi erano più interessati ad accaparrarsi la loro quota di denaro attraverso la losca gestione delle opere pubbliche e le tangenti della yakuza che non a resuscitare un'economia al collasso. Si sentiva la puzza di marcio da lontano.

Bevvi un altro sorso di Dalmore. «Come ti spieghi questo loro interesse nei miei confronti?»

Tatsu si strinse nelle spalle. «Forse vogliono vendicarsi. Forse rientra in una più ampia offensiva contro la corruzione. In fondo, sai bene anche tu che Holtzer faceva circolare rapporti di intelligence che ti indicavano come l'assassino "per cause naturali", responsabile della morte di un certo numero di confidenti e di politici giapponesi di tendenze riformiste. Forse, per entrambi i motivi.»

Fantastico, nevvero? Per prima cosa, c'è da dire che il romanzo è il secondo volume di una serie, e l'autore riesce, attraverso il dialogo, a riassumere alcuni fatti salienti di ciò che è accaduto: attenzione, non ve lo ha detto lo scrittore, ve lo hanno detto i personaggi (c'è una bella differenza!). Inoltre, persino per chi, come voi, legge solo un estratto, è già chiaro che il protagonista è un killer professionista, e che Tatsu, l'uomo con cui sta parlando, deve far parte come minimo della polizia (in effetti lavora per il Keisatsucho, l'FBI giapponese – NDA).

Cos'altro si può dire di concreto su questo estratto? Simile al poliziesco, presenta dei botta e risposta, che però l'autore spezza di tanto in tanto con delicatezza attraverso le considerazioni del protagonista e le movenze dei personaggi. Nella realtà infatti, nessuno resterebbe immobile come una statua mentre chiacchiera, giusto? Specie in un bar. Ed è esattamente tenendo a mente queste linee guida che si costruiscono i dialoghi.

Con una certa dose di pratica, applicandosi e provando e riprovando, si può giungere a questo livello, o almeno, andarci vicino. Scrivere dialoghi a due risulterà sempre più facile, è chiaro, perciò cosa succede quando gli interlocutori sono tre, quattro o cinque? In quel caso, si richiede all'autore uno sforzo ben maggiore per non confondere il lettore, perciò diventa ancora più importante descrivere gli astanti in modo tale da lasciar trasparire con chiarezza chi dice cosa.

Purtroppo non ci sono scorciatoie, l'unico modo per migliorare è leggere tanto e scrivere tanto, come per tutti gli aspetti della scrittura creativa. Io ho impiegato diciannove anni a raggiungere un livello quasi comparabile ad Eisler per quanto riguarda i dialoghi. Tuttavia, se vi può consolare, da ragazzini non si impara tanto quanto da adulti per un semplice motivo: non abbiamo gli strumenti adeguati. Perciò ritengo di aver avuto bisogno in realtà di sette od otto anni per perfezionare la tecnica, anche se sono convinto che ci sia ancora un certo margine di miglioramento.

Per concludere, a ogni interlocutore che si aggiunge in un dialogo, aumenta la difficoltà, e la capacità di uno scrittore di gestire molteplici personaggi è un ottimo indice del suo talento. Per quanto riguarda le letture, vi consiglio senz'altro Elmore Leonard come riferimento; anche Glenn Cooper è molto bravo, ma posso raccomandare la maggior parte degli autori di thriller e gialli in generale.
Prossima fermata: personaggi!

Nessun commento:

Posta un commento