Capitolo VII: La Storia
Ci siamo. Si tratta del cuore pulsante del nostro lavoro in fondo… no? C’è però da fare prima una doverosa premessa. La distinzione tra “trama” e “storia”. La trama è una creatura infida, io la vedo come un ignobile e ingannevole leprecano, che farebbe di tutto pur di recuperare il proprio oro se qualcuno glielo rubasse. La storia invece, è come un’amorevole madre che vi sospinge sempre nella direzione giusta e che spesso vi indica la via quando la smarrite.
Potreste limitarvi a obiettare che sono pazzo. In tal caso siete liberi di crederlo, tuttavia sono convinto – e sono disposto a ripeterlo sotto tortura – che la trama sia una scelta legittima in larga misura soltanto per chi scrive thriller e gialli. Vi chiederete il perché e soprattutto qual è la differenza. In tali particolari generi, per avere un’opera ben scritta, è necessario che l’autore sappia per filo e per segno tutto ciò che accadrà nel dipanarsi della narrazione. Come potrebbe altrimenti improvvisare un racconto su un novello Sherlock Holmes avanzando a tentoni?
In questo caso, vi è un intreccio, l'elemento da me più odiato in assoluto assieme alle forme passive: una serie di avvenimenti già predisposti e pronti per essere scritti. In poche parole è come scrivere una dissertazione scientifica, né più né meno: si sa già chi è l’assassino, dove andare a parare e dove tirar fuori il colpo di scena. Credo sia una questione del tutto soggettiva, ma almeno per me, scrivere così equivale a dare vita a qualcosa che è già defunto. È eccitante quanto eseguire l'autopsia di qualcuno di cui si conoscono già le cause di decesso. Non c’è sorpresa da parte mia, scrivere diventa davvero un lavoro e non c’è neppure la sensazione di star raccontando una storia sconosciuta ed eccitante a se stessi. Perché si sa già ogni cosa.
Naturalmente in alcuni generi letterari l’intreccio è obbligatorio, tuttavia trovo che di rado esso porti a una buona storia in altri tipi di libri. Un’eccezione è “La zona morta” di King, che – a detta dello stesso autore – segue un intreccio preciso ed è un ottimo romanzo, mentre – sempre di King e sempre frutto d’intreccio – Rose Madder è un libro che, sebbene sia ben scritto e ci siano alcune parti suggestive (specie quelle legate al quadro), non brilla di luce propria come gli altri, secondo me. Risulta in un certo senso “spento”.
La trama quindi rappresenta – nella maggioranza dei casi – la metamorfosi maligna della storia: si tratta di costruirla pezzo dopo pezzo come si farebbe con il mostro di Frankenstein, pertanto il più delle volte suonerà forzata, innaturale, nel peggiore dei casi persino scontata. Leggendo un autore che fa uso di intreccio nel fantasy come Brooks, avrete spesso la sensazione che egli predisponga gli avvenimenti con cura come si trattasse della progettazione di un edificio, piuttosto che di un’opera artistica. Certo, restano sempre buone storie e solidi libri, ma almeno per me ristagna sempre una vaga sensazione di artificiosità generale difficile da mandar giù. Come in qualsiasi altro ambito però, le eccezioni esistono (penso alla trilogia dei Mistborn di Sanderson, la cui complessità mi porta a dubitare che lui abbia potuto scriverla senza servirsi dell'intreccio, e che considero un vero capolavoro). Naturalmente, sono esclusi i generi che ho citato prima e che si basano per struttura, sull’intreccio, come i gialli.
E allora che ne è della storia? Per King e per Glenn Cooper – come per la maggior parte dei grandi autori contemporanei e non – nasce da una situazione. Io sono un po’ più tonto, perciò ho bisogno di due “folgorazioni”: di solito la prima è l’abbozzo di storia, che si traduce in qualche personaggio, qualche linea guida e qualche concetto – che in tutto in genere non constano che di poche righe – ma niente di più. L’altra ispirazione di cui necessito, come King, è appunto la situazione. A volte mi viene in mente la situazione e poi l’abbozzo di storia, ma più spesso capita il contrario ed è per questo che di solito anche se ho un’idea non comincio a scrivere finché non ho la situazione (o scena iniziale). Nel caso dei progetti di cui ho parlato in precedenza e dei quali ho preso qualche appunto, ho ricevuto un intero pacco regalo: l’abbozzo di storia e la situazione insieme, poi ragionandoci un po’ sopra, ne ho tratto persino un filo conduttore molto potente. Credo sia stata l’esperienza più vicina ad un’epifania che potrò mai avere in vita mia.
Tornando a noi: una volta che ho l’abbozzo e la situazione, parto da quest’ultima seguendo il primo, ovvero la nebulosa storia che mi si è formata nella testa, che – attenzione – non è mai il libro completo, ma solo una parte iniziale e qualche frammento sparso nel mezzo. Tutta la parte che invece non conosco ancora è metaforicamente una palude nebbiosa e inesplorata che attende che qualcuno vi si avventuri (io) per tracciare una mappa: è l’evolversi degli eventi a fare il resto. Questa in sostanza è la storia: raccontare ciò che si vede man mano che si palesa davanti agli occhi della vostra mente. Naturalmente il world building e i personaggi più importanti della storia richiedono invece un certo lavoro di progettazione al quale nessuno si può sottrarre, specie quando si tratta di fantasy. Anche se non sapete dove porta la strada, dovete conoscere alla perfezione tutto ciò che la circonda. Un 30% progettazione e un 70% improvvisazione, quindi.
In questo contesto mi piace paragonare il romanzo a una di quelle lunghe strade interstatali americane, quelle che si vedono nei film di Hollywood, circondate da miglia e miglia di deserto e non un’anima viva. Proprio come la Highway 50 nel Nevada che King descrive in “Desperation”. Scrivere seguendo la storia è come guidare una macchina a una certa velocità – il ritmo della narrazione, che può variare durante la stesura – su una di queste strade in una notte di novilunio, potendo contare solo sulla luce dei propri fari. Vedete solo alcuni metri davanti alla vostra auto, a volte i fari si spengono e dovete procedere molto lentamente o addirittura fermarvi a ripararli (blocco dello scrittore), altre volte accendete gli abbaglianti e scoprite più di quanto credevate possibile (qui c’è di solito lo zampino benevolo della vostra Musa).
Il segreto sta nell’assecondare ciò che vedete, come cantare una canzone in falsetto per non stonare. Dovete lasciarvi trasportare da quell’onnipresente ritmo che avete nella testa, senza cercare di forzarlo o di manipolarlo: dovete diventare voi stessi i primi lettori. Scoprirete che a volte la storia prenderà pieghe inaspettate, infischiandosene dell’abbozzo – o del finale – che avevate in mente e imboccando una direzione del tutto nuova. Assecondatela. Potrebbe portare alla prematura dipartita di un personaggio, a una dichiarazione d’amore spontanea, a un invertirsi di determinati ruoli o a un improvviso squilibrio di forze.
Qualunque cosa accada, scrivete ciò che avete visto e non metteteci qualcosa di vostro, a meno che non sia in sintonia con il posto dove la storia vi sta conducendo. Questo significa dire la verità, essere onesti nella narrazione, con voi stessi prima di tutto e con il lettore dopo. Non importa se il vostro libro alla fine non conterrà grandi colpi di scena – che trovo siano in larga misura prerogativa degli intrecci – o avrà uno sviluppo piuttosto lineare. Le cose che conteranno sempre più di tutto il resto saranno la storia in sé, i personaggi che le danno vita e la vostra onestà nello scrivere.
Come per temi e simbolismi, anche i colpi di scena sono a mio avviso contingenti: certo la suspense è un’ottima locomotiva, ma se siete abbastanza bravi nel raccontare la vostra storia e nel rendere appassionanti e credibili i vostri personaggi, il lettore riuscirà a non rammaricarsi della sua mancanza. Lo dico in primis come lettore, poiché nonostante in alcuni romanzi abbia trovato diversi risvolti prevedibili, non hanno in alcun modo pregiudicato la qualità del resto, almeno per me. L'importante è cercare di mantenere vivo l'interesse di chi legge, che sia tramite la suspense o grazie alle situazioni che si vengono a creare e i personaggi che le animano.
Al contrario del “Motore Immobile” di Aristotele al quale tutto tende, la storia è un motore in pieno movimento e i suoi mezzi propulsivi sono i personaggi e gli avvenimenti. In questa visione d’insieme, alle volte tali personaggi ottengono – come un corpo celeste che ne orbita uno più grande finché sfugge alla sua gravità – una propria autonomia, sufficiente a distaccarsi dallo strapotere della storia. In tal modo cominciano a volte a influenzare quest’ultima. È allora che essi diventano abbastanza realistici da agire di propria volontà, quasi come se lo scrittore diventasse soltanto un mezzo attraverso il quale il personaggio si esprime e si muove.
A rigor di logica, i prossimi due capitoli tratteranno di dialoghi e personaggi.
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