martedì 22 settembre 2020

Sulla scrittura (Cap. 5: La lunghezza)

 Capitolo V: La lunghezza

Per tornare a citare i cosiddetti “balordi” su internet (vedi capitolo 2), mi è capitato di leggere il post del blog di una di queste persone e la mia reazione è stata di pura irritazione. Discriminare un’opera per la sua lunghezza – che la si consideri troppo breve o troppo lunga – è una cosa davvero idiota. Soprattutto, trovo davvero deprecabile il tono saccente da accademico usato da questi individui, i quali sostengono che l’autore debba per forza di cose poter controllare la durata del libro. Inutile dire che la ritengo una delle più grosse puttanate che abbia mai sentito in vita mia. Certo, se si è un po’ ridondanti si può sempre optare per tagliare in fase di revisione, ma non si decide mai a tavolino a priori. Io sono solito prefiggermi un obiettivo medio e variabile di centomila parole, spesso le supero, in due o tre casi invece non le ho raggiunte, ma va bene lo stesso.

Dalla mia esperienza posso dire che qualcuno che lesse anni fa alcuni miei racconti sosteneva che fossero “troppo lunghi”. Alcuni di essi invece non raggiungono le dieci o le cinque cartelle e ritengo che dipenda in larga misura da ciò di cui trattano e dalla complessità della situazione iniziale, mai da un mio ragionamento cosciente. Uno in particolare constava di 25 cartelle, quando la categoria di racconto lungo – quelli che alle volte vengono spacciati per romanzi a 10 euro ma non lo sono – va dalle 11 alle 50 cartelle.

Ora, non per essere pedante ma un racconto di King, “La Nebbia”, è lungo più di cento pagine, eppure è fenomenale, tanto che ne hanno tratto persino un film. I favolosi: “Le Montagne della Follia” e “Il caso di Charles Dexter Ward” di Lovecraft sono altrettanto lunghi, si potrebbero considerare quasi romanzi brevi, ma trovo che si salvino in calcio d’angolo. Anche stando così le cose, nulla toglie al loro valore: a mio avviso sono dei racconti più che ottimi. Una persona sul blog del suddetto balordo commentò il suo articolo con comprensibile sdegno, affermando: “Finisco di scrivere quando finisco.” Non posso che trovarmi d’accordo con lei. Non siamo noi a decidere la lunghezza di un romanzo, mai, in nessun caso, eccezion fatta forse per i maniaci dell’intreccio, di cui parleremo più tardi. La storia va avanti fin quando non l’avete raccontata tutta e dipende soltanto dal dipanarsi degli eventi che avviene nella vostra testa e dal ritmo scandito dalla stessa narrazione. Può trattarsi di un romanzetto di centocinquanta pagine, come può benissimo trasformarsi in corso d’opera in un tremendo gigante di cinquecento o più: quello che conta è sempre raccontare ciò che avete visto ed essere onesti nel farlo.

Il romanzo più breve che ho scritto finora è composto da circa 260 cartelle, circa settantamila parole; il più lungo, è di oltre 420 cartelle, grossomodo centotrentamila parole (si tratta di vecchi manoscritti risalenti ad anni fa, il mio ultimo romanzo [scrivo questa nota nel Luglio 2020] è di quasi centosessantamila parole – NDA). Secondo il nostro amico balordo, nessuno avrebbe il coraggio di leggere un’opera scritta da un esordiente che sia più lunga di 300 cartelle, figurarsi se supera le 400! Un’altra affermazione boriosa quanto demenziale, frutto di un cervello scarsamente popolato di neuroni, oltre che privo di umiltà. Ho letto ebook molto brevi di saghe di esordienti che constavano di cinque od otto volumi. Ciascuno di essi non poteva superare le venti o trentamila parole singolarmente, ma come lunghezza complessiva arriverebbero di sicuro a 400 cartelle o forse più, e li ho letti con piacere, in alcuni casi apprezzando degli esordienti più di certi autori affermati.

La volontà di proseguire la lettura di un libro – che sia di un esordiente o meno – dipende da diversi fattori: un romanzo può essere un mattone colossale come “It” ma essere al contempo scritto molto bene, perciò in primo luogo dipende dalla predisposizione del lettore, e in secondo luogo dall’abilità dell’autore. Nel mio caso, in genere sono capace di mandare giù anche macigni, ho letto due volte “Il Signore degli Anelli” di Tolkien e “La Torre Nera” (che consta di otto libri di cui sei mattoni) di King. Ho letto due volte anche il Ciclo di Cthulhu di Lovecraft nonostante sia prolisso e a volte ripetitivo nella sua reiterazione degli stessi concetti (l’antichità delle opere architettoniche, il senso di mistero, eccetera).

Insomma, mi sono arreso trovando il mio limite soltanto di fronte ai romanzi di Asimov, che mi hanno dato l’impressione di star leggendo pagine e pagine simili alle pallosissime introduzioni ai film di “Star Wars”. Ogni lettore dunque ha una sua soglia di sopportazione di base: per esempio c’è chi trova troppo pesanti i fantasy di Terry Brooks – e in realtà in certa misura lo sono a causa delle descrizioni di cui ho parlato nello scorso capitolo – eppure a me non dispiacciono.

Oltre a questo, altri fattori che determinano se qualcuno si prenderà la briga di leggere fino in fondo la vostra opera, sono naturalmente l’interesse che saprete destare nel pubblico attraverso la storia e i personaggi, il ritmo della narrazione, lo stile, l’incipit – fondamentale per agganciare il lettore – e tanti altri elementi. Per esempio, l’esordiente straniero T.M. Nielsen ha scritto la “saga delle dimensioni” a cui mi riferivo poco prima: sono nove e-book fantasy tutti piuttosto corti (classificabili come romanzi brevi) inoltre il suo stile non è lontano da quello della Troisi; figure retoriche assenti, descrizioni ridotte all'osso, caratterizzazione dei personaggi – esclusi i principali – vaga e indistinta.

Eppure – al contrario dell'autrice nostrana – i protagonisti, la storia, il world building e il ritmo incalzante sono riusciti a supplire a tanti di questi grossi difetti appassionandomi lo stesso, nonostante la povertà della sua prosa. Si può quindi dire che se un romanzo è scritto bene e non è greve nel suo svilupparsi, la storia giusta può far miracoli rendendolo godibile e appassionante a prescindere da chi l’abbia scritto o da quanto sia lungo. Sono quei libri che, se non avessero avuto determinati difetti, avrebbero potuto essere potenziali best seller.
Nel prossimo capitolo tratteremo di temi e simbolismi.

2 commenti:

  1. La lunghezza per un esordiente è di massimo 100 pagine, detto da editori esperti, in conferenza, alla settimana del libro.Motivo? Perchè non siete nessuno.Non avete un nome famoso. Peccato che poi gli stessi editori pubblicano esordienti da 500 pagine. Mah. E anche lí cosa capisci? Che c'è sempre una via preferenziale ma solo per alcuni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certo, purtroppo il clientelismo e altre bieche pratiche esistono in ogni ambito, anche in quello editoriale. Per fortuna non tutti sono così.

      Elimina